Se Renzi voleva innervosire la maggioranza c’è riuscito. Con l’astensione in giunta per le autorizzazioni a procedere sul processo a Matteo Salvini il capo di Italia viva ha reso evidente una volta di più lo slabbramento della maggioranza di governo. Il punto politico che si ricava dalla astensione dei renziani sull’operato dell’ex ministro dell’Interno a proposito della Open arms è questo: il quadripartito giallo-rosso c’è e non c’è, come le figure nei caleidoscopi.
Dietro le quinte Renzi è stato duramente criticato dal Partito democratico, stanco delle piroette tattiche del suo ex segretario (recentissima quella su Alfonso Bonafede, anche se in quel caso a favore del governo). Ma “salvare Salvini” per i dem (che comunque del capo leghista ha conservato le leggi sicurezza) è sembrato un altro insulto.
Attenzione alle ritorsioni. Già si parla del ritorno in campo della legge elettorale con sbarramento al 5 per cento, una soglia per Renzi molto problematica, come a dire: se vuoi strappare la tela sappi che corri il rischio di non rientrare in Parlamento. Ma è solo un gioco a rimpiattino, un susseguirsi di dispetti, uno sparare a salve, da tutte le parti: solo che di tatticismi si può morire.
Il problema non è la disinvoltura del senatore di Rignano. Caso mai, questa è l’effetto di uno sfaldamento politico della maggioranza di governo: se il quadro fosse saldo sarebbe impossibile qualunque scorreria.
A farla semplice, dopo la sostanziale bocciatura del progetto di Boccia sugli assistenti sociali che ha lasciato comunque qualche livido nel rapporto fra il ministro pugliese e il Viminale, il voto su Salvini non solo ha dimostrato la mancanza di coesione nella maggioranza ma ha posto, seppure in modo sussurrato, la questione del coinvolgimento di Giuseppe Conte nelle decisioni dell’allora ministro dell’Interno. Ne ha accennato il renzianissimo Francesco Bonifazi ma lo hanno capito tutti: come poteva il premier non sapere cosa faceva il suo ministro?
L’interrogativo, che d’altra parte già si pose all’epoca della vicenda della Diciotti e poi della Gregoretti, è destinato a brillare come una mina inesplosa nelle mani di Renzi. Fino al voto dell’aula, quando secondo alcune previsioni alla fine Salvini verrà comunque costretto dal voto del Senato a finire davanti ai giudici: «Ci conteremo in aula», dicono infatti i renziani. Saranno determinanti davvero, non come in giunta dove i voti erano comunque favorevoli a Salvini.
Aggiungiamo a questo le polemiche sulle concessioni autostradali; i soliti problemi con l’erogazione dei fondi anti-crisi; la persistente ansia del governo sulla cosiddetta Fase 3 di cui tuttora non si capiscono i termini né la tempistica; e persino il no del mitico Comitato tecnico scientifico all’idea di Anna Ascani di tenere l’ultimo giorno di scuola in classe (troppo pericoloso).
Abbiamo un quadro impazzito che legittima l’analisi della sondaggista Alessandra Ghisleri, secondo la quale il ciclo sta cambiando e il premier e il suo governo perdono consensi a rotta di collo.
Sarebbe in corso, secondo la studiosa di comportamenti elettorali, un rapido consumarsi della fiducia, sia nel governo che nella Lega: una situazione di pre-collasso della politica nazionale che si accompagna a segnali preoccupanti dell’opinione pubblica.
L’impressione, infatti, dice di una istintiva pulsione diametralmente opposta a quella della responsabilità nella fase del lockdown, una specie di ribellismo, di infastidito sopportare certe regole. Vorrà dire qualcosa se solo il 25 per cento delle persone interpellate dalla Croce rossa sulla disponibilità a effettuare i test sierologici abbia risposto di sì. E avrà un senso il fatto che tanti giovani se ne infischino, dopo mesi di autocontrollo, delle regole. Sono immagini di un Paese incerto.
Insomma, sull’Italia spira un’aria più sfilacciata, meno fiduciosa. Un sentimento che tradotto sul piano politico potrebbe portare ad esiti catastrofici, se nessuno riuscisse, come pare, a prendere in mano la situazione.
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