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Lo stress-test di Conte, da premier “per caso” a timoniere nella più grave tempesta del dopoguerra

Conte: tutta l’Italia blindata, aperti solo alimentari e farmacie

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Chi avrebbe mai potuto prevederlo? Da premier quasi “per caso”, «avvocato difensore del popolo italiano» sconosciuto ai più, Giuseppe Conte si trova adesso nei panni del timoniere della nave Italia nel mezzo della burrasca peggiore del dopoguerra. Una crisi senza precedenti, quella scatenata dall’epidemia di coronavirus, per la quale un Governo nato fragile come quello giallorosso ha dovuto mettere in campo strumenti senza precedenti. Il “cigno nero” che sta mettendo a repentaglio il rispetto dei vincoli di bilancio Ue, del trattato di Schengen, dell’Europa stessa nella fisionomia in cui l’abbiamo conosciuta finora.

L’approdo al Governo
Era maggio 2018 quando il nome dell’avvocato pugliese, docente di diritto privato all’Università di Firenze, spuntò a sorpresa come probabile presidente del Consiglio di un Esecutivo M5S-Lega dopo quasi 80 giorni di impasse. Fino a quel momento Conte non era noto al grande pubblico. Era stato il leader M5S Luigi Di Maio a tirarlo fuori dal cilindro come potenziale ministro della Pubblica amministrazione nel suo Governo “ombra”. Ed era stato sempre lui a proporlo premier a Matteo Salvini, che accettò.

La citazione-monito di Jonas
Nel primo discorso per ottenere la fiducia alle Camere, a giugno 2018, Conte si autodefinì «avvocato difensore del popolo italiano», elogiò il populismo nella versione di «attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente» (frase estrapolata dalle riflessioni di Dostoevskij in memoria di Puskin), citò Kotler, il guru del marketing moderno («Occorre ripensare il capitalismo») e soprattutto evocò il «principio di responsabilità» del filosofo Jonas. Quello che «impone di agire non solo guardando al bisogno immediato, che rischia di tramutarsi in mero tornaconto, ma progettando anche la società che vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti».

Un outsider in pochette nell’arena politica
A rileggerlo oggi, scorre qualche brivido. Perché finora Conte si era dovuto cimentare con l’arte della politica: un anno e più con il tema dell’immigrazione in cima all’agenda dettata da Salvini, lo scontro con il leader della Lega, culminato con la rottura dello scorso agosto, il gelo con Di Maio, l’abbraccio d’interesse con il Pd di Nicola Zingaretti per la nascita del nuovo Governo giallorosso senza passare dalle urne. Nel passaggio dal Conte 1 al Conte 2 il premier ha affinato i suoi tratti caratteristici: l’eloquio ampolloso, lo stile impeccabile simboleggiato dall’immancabile pochette (che gli è valsa l’accusa di vanità da parte dei detrattori), la lontananza dai partiti tramutata in un aplomb da statista quasi democristiano, con tanto di ammiccamento alla tradizione del cattolicesimo di sinistra e di garanzia del collocamento dell’Italia nell’Ue e nella Nato.

Coronavirus ed effetto spiazzamento
Ma stavolta la prova è diversa, durissima, e le parole di Jonas risuonano come un campanello d’allarme. Da metà febbraio a oggi il coronavirus ha colpito l’Italia come nessun altro Paese al mondo dopo la Cina. Il caos della gestione iniziale – un affastellarsi di ordinanze e decreti, con il Governo centrale costretto ad arginare il fai-da-te regionale – è stato direttamente proporzionale allo spiazzamento dell’Esecutivo davanti all’epidemia. «Il mondo ci guarda, ce la faremo», ha assicurato il premier la sera dell’11 marzo annunciando l’Italia intera zona rossa.

Lo stress test rende il futuro incerto
Per Conte – che ha mantenuto come è d’obbligo un filo diretto costante con il Quirinale – lo stress test è elevatissimo, pressato com’è dal centrodestra che insegue il miraggio di un nuovo Governo di unità nazionale, se non subito, sicuramente a emergenza finita. Il Paese chiuso, sospeso per almeno due settimane dall’ultimo Dpcm arrivato a tre giorni dall’altro e che probabilmente non sarà l’ultimo, autorizza a considerare aperti tutti gli scenari. Saranno i numeri dell’epidemia, le vittime che lascerà sul campo, i danni al tessuto economico e sociale del Paese, la capacità di definire un piano complessivo di ripresa, a determinarli. Sarà al termine di queste settimane, quando l’Italia vedrà la luce in fondo al tunnel, che Conte sarà giudicato, al di là degli attacchi estemporanei di oggi e degli incidenti di percorso, anche comunicativi. E in molti sono convinti che alla fine sarà il Pd, trasformato nella sponda più solida del premier dopo l’implosione del M5S, a decidere davvero le sorti dell’Esecutivo. E, a cascata, quelle politiche di Conte.

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