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L’ora è arrivata: Matteo Renzi è pronto a fare il suo partito (e guarda a destra)

 

“Renzi vuole andare a destra, vuole fare un partito che tiene su il governo della Lega”. A dirlo non è un retroscenista. O meglio, è uno che il retroscenista (e anche il direttore di testate di primo piano a partire dall’Espresso) l’ha fatto, ma che ora fa il senatore (eretico) del Partito Democratico, Tommaso Cerno. Annunciando che voterà a favore della mozione No Tav dei Cinque Stelle, Cerno afferma candidamente quali siano, secondo lui, i reali obiettivi del suo collega a Palazzo Madama.

Sgombriamo subito il campo da equivoci. Il momento sembra davvero arrivato. Gli indizi che fanno pensare ad un’accelerazione da parte di Renzi nella formazione di un nuovo soggetto politico si susseguono ormai in maniera sempre più frenetica. Si dice addirittura che l’ex premier stia cominciando a reclutare, oltre che parlamentari e dirigenti di primo piano, anche le professionalità che dovrebbero andare a comporre il suo futuro staff.

Renzi ha ormai chiarito che vede nella possibile convergenza futura tra Pd e Movimento Cinque Stelle un limite invalicabile della sua azione politica. E, al di là delle dichiarazioni di rito di Nicola Zingaretti, non ha per nulla digerito le ultime mosse e le ultime dichiarazioni di alcuni dirigenti del suo partito. In particolare, la decisione di destituire il suo fedelissimo Davide Faraone dalla guida della segreteria regionale siciliana, per sostituirlo, nel ruolo di commissario, con il franceschiniano doc Alberto Losacco – già pronto a convergenze con i grillini dell’isola, guidati da Cancelleri e Carrao – potrebbe segnare un punto di non ritorno.

Molto, per non dire tutto, dipenderà dalla tenuta del governo. Accanto ai tanti che pensano che il teatrino di Salvini e Di Maio possa proseguire ancora per anni, sono in molti a pensare che lo show-down dell’esecutivo sia stato rinviato solo di qualche mese e che il leader leghista abbia già fissato per il prossimo inverno, in concomitanza o appena dopo la tornata elettorale regionale (in cui tutti gli occhi saranno puntati sull’Emilia Romagna), la data per porre fine al mal riuscito esperimento giallo-verde.

È per questo che Renzi vuole arrivare preparato a quell’appuntamento. Come noto, per lui e i suoi pasdaran non c’è alcun margine di manovra con il Movimento 5 Stelle, né prima né dopo un’eventuale elezione anticipata. Ma in un’ottica proporzionale che impone alleanze, anche i renziani sanno benissimo che il discorso alleanze si aprirà sicuramente. La vocazione maggioritaria, ancora evocata nelle riunioni dei vertici dem, è ormai un concetto totalmente superato. Appena Renzi capirà (ma forse l’ha già capito) che per Zingaretti l’unica opzione sarà quella di aprire un dialogo con i Cinque Stelle, toglierà il disturbo.

Maria Elena Boschi si affretta a dire che “un nuovo partito non è all’ordine del giorno”, ma nel contempo affianca a questa affermazione un significativo “per ora”. Il tema infatti, non è più se, ma quando. E quando il nuovo soggetto nascerà, a differenza di come se lo immaginava Calenda, non sarà una “costola” del Pd, ma un reale concorrente. Anche perché l’approdo, se le cose dovessero precipitare, sarà molto diverso da come se lo immaginano Zingaretti, Franceschini o lo stesso Beppe Sala, che parla di un “dialogo possibile” con i Cinque Stelle, una volta che Luigi Di Maio verrà messo alla porta.

Se devono girarsi da qualche parte, Renzi e il suo nuovo soggetto “macroniano” lo faranno guardando alla sua destra. A quel che resta di Forza Italia, chiaramente. In primis a ciò che sta provando a costruire Silvio Berlusconi con il progetto “Altra Italia” e al dinamismo di personalità emergenti come Mara Carfagna.

Ma, come extrema ratio, si spingerà anche più in là, fino ad arrivare a Matteo Salvini. Economia, infrastrutture, fisco, giustizia, autonomia, lavoro: i punti di contatto tra il Renzi-pensiero e la Lega sono decisamente più numerosi rispetto a quelli che ci sono con il Movimento Cinque Stelle. E anche tra quelli che esistono tra gli stessi grillini e i leghisti. Certo, ci sarebbero da superare differenza abissali in tema di diritti, Europa e politiche sull’immigrazione, ma davanti alla necessità di fare sintesi, non è detto che un accordo non si possa trovare.

Fantapolitica? Tutt’altro. Il quadro è molto fluido e il primo a saperlo è lo stesso Zingaretti, che, parafrasando ciò che il suo principale riferimento politico Goffredo Bettini sostiene da mesi, sta accarezzando l’idea per cui una separazione consensuale nel Pd possa essere, al punto a cui siamo arrivati, con un partito sempre sull’orlo di una crisi di nervi a causa di Renzi, il male minore.

 

 

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