(ANSA)
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Lo abbiamo visto mimetizzarsi nelle vesti più svariate, lungo tutta la sua ormai lunga vicenda politica. Berlusconi operaio, pompiere, ferroviere, fornaio, contadino. Non esiste professione senza elettori. Oltre che uomo di Stato, a suo dire: ma questa è stata la sua interpretazione meno convinta, come possono ricordare e testimoniare gli italiani non troppo di parte, che in quella versione, la più utile al paese, avrebbero preferito vederlo. Non lo è stato, uomo di Stato, per scelta e necessità: ovvero perché la scelta di “scendere in politica” fu la conseguenza miope non di una passione per la cura dei suoi connazionali, quanto per la convinzione di dover proteggere i suoi multiformi e a suo avviso minacciati interessi. Questa premessa appartiene ad una realtà consolidata, se non alla storia. Non è comunque oggetto di questa riflessione.
Ironia della politica, quello che non fu o non volle essere negli anni del suo scintillante potere, potrebbe essere tra breve, nel momento del declinare malinconico della sua avventura politica. Se non statista, almeno utile al suo paese, e alla comunità di cui l’Italia fa parte. Lui, l’inventore geniale e azionista quasi esclusivo del centrodestra come formula di governo ; lo sdoganatore di una destra nostalgica , fino ad allora esclusa dalla comunità costituzionale; il compositore di una alleanza a tre, nella quale gli altri due dovevano reciprocamente ignorarsi, letteralmente.
La sua Forza Italia, il MSI, la Lega allora fieramente antifascista. Lui, naviga oggi con quanto resta del glorioso vascello di Forza Italia a rimorchio di una coalizione in cui viene tollerato dopo essere stato praticamente negletto e accantonato durante l’esperienza del contratto di governo tra Lega e Cinquestelle. Accantonato, rispolverato di necessità in occasione di tutte le competizioni elettorali amministrative, quindi puntualmente e nuovamente oscurato. Riguardi, pochi o nulla; gratitudine, men che meno.
Oggi , allo strapotere consolidato di Salvini si aggiunge la forza emergente dei Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni; in grado, oramai, di puntare da soli alla guida del paese alle prossime elezioni. Per fare un governo con un solo apparente limite, ma un limite oggettivo : quello di essere forte nelle urne, ma, pur essendo il frutto di una combinazione preannunciata e non di una alchimia parlamentare, debole e isolato, soprattutto in Europa. Con amici ugualmente isolati. Un governo che produce inquietudine, nel resto del continente, nei riabilitati mercati, nelle pubbliche opinioni. I repentini ma non univoci conati di moderazione del nuovo leader del centrodestra non riusciranno a lasciare tranquilla la stessa maggioranza degli italiani (quella che somma votanti ed astenuti), anche per l’instabile e grezzo armamentario costituzionale di entrambi i partiti. Così nascono le sardine, oltre che per la mollezza dei partiti di tradizione costituzionale: senza bisogno di dietrologie.
Qui nasce la grande occasione del Cavaliere, pieno di acciacchi politici presenti e di guai giudiziari alle spalle: la sua collocazione dentro questa possibile maggioranza – se la confermerà-, può essere un fattore di accettazione, un emolliente: in Italia , in Europa , forse oltre. Addirittura indipendentemente dal quoziente elettorale che le urne gli affideranno.
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