I dissidenti del M5S lanciano la Carta di Firenze: un documento di due pagine, redatto dai più critici nell’assemblea promossa il 29 settembre scorso nel capoluogo toscano
di Manuela Perrone
C’era una volta il Movimento, dalla democrazia diretta al mandato zero
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Nelle stesse ore in cui Beppe Grillo e i Cinque Stelle di governo celebrano il decennale della nascita del Movimento, con i debiti distinguo, i dissidenti lanciano la Carta di Firenze: un documento di due pagine, redatto dai più critici nell’assemblea promossa il 29 settembre scorso nel capoluogo toscano.
Promotore del raduno, il consigliere regionale del Lazio, Davide Barillari, acerrimo nemico dell’accordo con il Pd e noto alle cronache per le sue posizioni controverse (contro la scienza e contro i vaccini) e per i suoi strafalcioni, anche grammaticali («Zingaretti metterà i lavoratori sull’astrico», twittò nell’agosto 2018). Impossibile sapere quanti fossero davvero gli attivisti riuniti a Firenze. Barillari ha soltanto riferito che provenivano da dieci regioni italiane: Toscana, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Trentino Alto Adige, Marche, Sardegna, Umbria.
Aperto alla sottoscrizione online sul sito www.cartadifirenze2019.it, il documento è il frutto di quattro tavoli di lavoro. E suona come un attacco esplicito sia al capo politico Luigi Di Maio sia al presidente dell’Associazione Rousseau, Davide Casaleggio, figlio ed erede di Gianroberto, cofondatore del Movimento.
Innanzitutto, alla voce «trasparenza e democrazia interna», la Carta di Firenze chiede la revisione dello statuto e della figura stessa del capo politico attraverso l’introduzione di organi elettivi e collegiali a livello nazionale, regionale e provinciale. Non è una richiesta peregrina, condivisa com’è anche da molti parlamentari. Convinti che occorra rimettere mano allo statuto di dicembre 2017, che fu redatto dallo studio genovese dell’avvocato Luca Lanzalone , poi diventato il legale di fiducia del M5S, l’uomo chiamato nella Capitale guidata da Virginia Raggi per gestire il dossier dello stadio e infine il presidente dell’Acea. Salvo finire agli arresti proprio nell’ambito dell’inchiesta sull’arena della Roma. È quel documento, secondo i detrattori, che accentra troppi poteri nelle mani del capo politico.
Dall’altro lato, la Carta invoca «l’attribuzione della piena proprietà e della gestione del sistema operativo Rousseau al Movimento 5 Stelle». Qui il tema è ancora più scivoloso. La piattaforma , sviluppata dalla Casaleggio Associati, è stata donata nel 2016 dopo la morte di Gianroberto non al Movimento, ma all’Associazione Rousseau di cui per statuto il figlio Davide è presidente, amministratore e tesoriere a vita. La stessa associazione a cui ogni parlamentare è obbligato a versare 300 euro al mese, che di fatto è la “cassaforte” del Movimento e di cui sono soci tre fedelissimi di Davide: Pietro Dettori, ex dipendente della Casaleggio Associati transitato nel 2018 nello staff di Di Maio a Palazzo Chigi, Massimo Bugani, numero uno del M5S in Emilia, anche lui entrato nella segreteria di Di Maio ma poi uscito in polemica e oggi fresco di nomina come capo staff di Raggi; Enrica Sabatini, psicologa pescarese e docente a contratto all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Un passaggio di proprietà di Rousseau esautorerebbe Casaleggio jr dal ruolo di plenipotenziario assoluto dell’associazione omonima.
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