Se qualcuno ha capito la posizione del Pd sulla prescrizione alzi la mano. Ricapitoliamo: nella legge cosiddetta spazzacorrotti di Alfonso Bonafede, ex dj di Mazara del Vallo in prestito a Roma per guardare i sigilli, il governo Conte uno di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio ha approvato la riforma della legge sulla prescrizione di Andrea Orlando del Pd elaborata ai tempi del governo Renzi. Nella nuova formulazione grillo-leghista, l’istituto della prescrizione è stato sospeso alla fine del primo grado di giudizio per tutti i reati commessi a partire dal gennaio 2020. La norma è talmente strampalata da aver messo per una volta d’accordo avvocati e vertici della magistratura, camere penali e presidenti e procuratori generali della Cassazione, convinti tutti quanti che se non si pone subito rimedio all’intervento di Bonafede si sentiranno gli effetti negativi sui processi, sui diritti e sulle persone.
A favore della fine della prescrizione ci sono Piercamillo Davigo, Marco Travaglio e Alfonso Bonafede, autori di leggendari brocardi quali «non esistono innocenti, ma colpevoli non ancora scoperti», «non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere», «gli innocenti non finiscono in carcere», ma confessiamo, scusate il termine da interrogatorio, che non avendoli mai visti tutti insieme c’è anche il forte sospetto che i tre giustizieri in realtà siano la stessa persona.
Ai tempi del Conte uno, Forza Italia e il Partito Democratico si erano opposti alla legge Bonafede, mentre la Lega che allora l’aveva votata adesso è passata al fronte degli oppositori. Il partito di Berlusconi ha proposto di abolire del tutto la legge Bonafede, cosa che non dispiacerebbe ai renziani, i quali però essendo al governo – e per evitare di farlo cadere – hanno presentato un emendamento al decreto milleproroghe, il cosiddetto Lodo di Lucia Annibali, che sospende per un anno l’entrata in vigore della Bonafede. Il premier Conte ha presentato un’ulteriore mediazione, secondo cui la prescrizione si fermerebbe solo in caso di condanna, ma è un’ipotesi giudicata palesemente incostituzionale, nonostante le cronache ci descrivano ogni giorno Conte come un giurista eccelso.
Il Partito Democratico, infine, ha detto tutto e il contrario di tutto ovvero che «non si può stare sotto processo a vita», parola di Nicola Zingaretti, ma anche che spera in una mediazione del governo, nonostante il ministro Bonafede abbia ribadito che la riforma non si tocca.
In un colpo di scena che ricorda la sceneggiatura di Inception, l’ex Guardasigilli Orlando ha difeso la scelta di Bonafede di non rispondere alle provocazioni di Renzi in difesa della legge Orlando, cioè la sua legge, nonostante Bonafede abbia appunto abrogato la riforma Orlando (la tesi di Orlando è che l’intervento di Renzi, di sabato scorso, avrebbe consentito a Bonafede di non rispondere alle puntuali critiche dei vertici della Cassazione, che però sono state fatte il giorno precedente, proprio davanti a Bonafede e senza che Bonafede abbia detto altro se non che la sua riforma è «una conquista di civiltà»).
Ieri sera il governo e i due principali partiti della maggioranza si sono dati settantadue ore per mediare, hanno convocato per domani non uno ma due possibili vertici per trovare un’intesa. In alternativa, ha detto perentorio Zingaretti, «andremo avanti con la nostra legge», anche se non si capisce se si tratti di una minaccia o di un sollievo perché nessuno sa qual è la legge di cui parla.
Il problema, dunque, non è l’intransigenza di Bonafede, Travaglio e Davigo né la mediazione di Renzi o di Conte e nemmeno l’aperta contrarietà di avvocati e magistrati. Il problema è il Pd, il partito di governo che in questa stravagante stagione di alleanza con i populisti non riesce a prendere una decisione che sia una nemmeno a favore di una sua legge, né per cancellare la legge contro cui pochi mesi fa, quando era all’opposizone, ha chiesto l’eccezione di incostituzionalità, né se come adesso può vantare il consenso quasi unanime del Parlamento e degli operatori del diritto. Mai, il Pd non decide mai. Galleggia a vista.
Questa grande incertezza non vale solo per la prescrizione, ma anche per i decreti sicurezza, per quota cento, per il reddito di cittadinanza, per la legge elettorale, per lo ius culturae. Ci sono soltanto due spiegazioni possibili di questa cronica incapacità di assumere decisioni politiche, anzi tre: la prima è che il Pd insegue l’alleanza strategica con i Cinque Stelle e quindi non vuole insolentire i potenziali alleati, a maggior ragione visto che i potenziali alleati ripetono ogni giorno che non se ne parla nemmeno di fare un’alleanza strategica con il Pd; la seconda è che il Pd non vuole accodarsi al movimentismo dell’ex segretario Renzi, per cui se Renzi dice no alla legge Bonafede il riflesso condizionato impone al Pd di difendere la legge Bonafede, e così anche sulla legge elettorale, su quota cento, sulle tasse sulla plastica e tutto il resto.
La terza spiegazione, invece, è che i dirigenti del Pd proprio non sono capaci. Cosa che finalmente spiegherebbe le ragioni ideali di un’alleanza strategica con i Cinque Stelle.
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