La “compressione” delle funzioni parlamentari classiche, secondo il linguaggio misurato ma dirimente del presidente Mattarella, appartiene ai fenomeni oggettivi, acquisiti, non discutibili. Quelli che non tollerano negazionismi. Tocca un procedimento legislativo oramai estraneo alle Camere, per quantità e ancora più per qualità, che si esaurisce nel clic di un voto di fiducia al governo; le funzioni ispettive e di controllo soffrono la concorrenza dei nuovi mezzi di comunicazione, che accarezzano la bulimica ricerca di consenso dei nuovi leader politici, senza l’ingombro delle opposizioni. I grandi dibattiti di indirizzo sulle decisioni non legislative sono ricordo di un passato lontano. Tutto si decide tra un paio di persone, al di là dei ruoli formali. A soffrirne, un concetto di sovranità popolare mai così sbandierato e mai così umiliato, frainteso. Spezzettato: il popolo sono i propri elettori.
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Ed ecco l’ eccezione che conferma la regola : non passa giorno che non venga proposta una inchiesta parlamentare, con annessa commissione. Uno spiraglio di resipiscenza della politica? La voglia di confronto democratico che rinasce dalle proprie ceneri? Al contrario: l’inchiesta parlamentare, nata come terreno di incontro e lavoro comune tra maggioranze e opposizione su temi estranei all’azione di governo, è oggi un’occasione di sopraffazione in ambiente protetto, al riparo da ingerenze esterne, tutt’al più soggetta al controllo dei presidenti delle Camere, arbitri troppo spesso poco neutrali . È così, più o meno – e salvo eccezioni – dagli albori di una seconda repubblica, che si sviluppa nell’enfasi della funzione di governo e nella depressione di quella parlamentare.
La prova, nella ariosa ma puntuale regolazione dei confini contenuta nella lettera con cui il capo dello Stato dà il via libera alla legge che istituisce l’inchiesta parlamentare sul sistema creditizio. Materia cara ai populismi, ovunque e comunque. Le inchieste parlamentari, da strumenti a garanzia soprattutto delle minoranze, sfigurate in marchingegno di sopraffazione, quindi: nulla di più estraneo alla concezione corretta del ruolo delle Camere. Sopraffazione che si mostra, gelida e senza pudori, come obiettivo di ben due Commissioni di inchiesta nella legislatura 2001-2006, note sotto il nome di Telekom Serbia e Mitrokhin: usate come manganelli contro le opposizioni del momento.
Da allora la tentazione cresce, e dilaga in questa legislatura, con l’arricchimento di un obiettivo ulteriore, rispetto a quello classico dell’avversario politico: le funzioni terze, indipendenti, le alte burocrazie, i poteri non politici. Vera ossessione dei nuovi, diversissimi , incompatibili governanti: fin troppo compatibili o condiscendenti in questa concezione primordiale della democrazia, per cui chi vince prende tutto. Il segno istituzionale di questa legislatura è il ripetuto invito a chicchessia di candidarsi prima di parlare: un segno sottovalutato, assieme a molti altri, della degenerazione della convivenza democratica in sopraffazione del più forte.
Nel segnare i confini del campo di azione della inchiesta sulle banche, il presidente Mattarella ha coinvolto, doverosamente e speriamo non ottimisticamente, i titolari delle assemblee parlamentari, Fico e Casellati. Dai quali dipende il rispetto da parte della Commissione di inchiesta delle indicazioni del capo dello Stato, e la stessa riabilitazione di un ruolo (il proprio) spesso nei decenni esaurito in una terzietà inerte, di facciata, limitata all’innocuità dei dibattiti e alle aule delle Camere.
I parlamentari hanno il diritto, tutti, di vedere nei presidenti di Camera e Senato due momenti di garanzia democratica, in luogo di due ulteriori avversari politici, o due complici aggiunti, dotati di poteri speciali. E gli organismi, in questo caso quelli creditizi, indipendenti, il diritto di non essere conculcati dalla prepotenza di una politica che ha trasformato il concetto del proprio nobile primato da baluardo di democrazia a fattore di prevaricazione. Una responsabilità pesante, quella dei presidenti delle Camere, a partire dalla formazione della Commissione e dalla direzione e dalle istruzioni che verranno date alla stessa.
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