Dietro le quinte dell’emergenza Coronavirus la politica respira ancora pure se non ce ne accorgiamo. È un respiro affannoso perché le vicende dell’epidemia hanno obbligato a rivedere molti progetti, soprattutto nel Centrodestra dove, giorno dopo giorno, si consolida la tentazione di Matteo Salvini di approfittare dello stallo per rottamare definitivamente i vecchi equilibri. Il piano che sembra delinearsi è semplice: sfruttare le prossime elezioni regionali per blindare la primogenitura assoluta del Carroccio non solo al Nord ma anche al Sud, utilizzando il principio «senza di me non si vince» per arginare l’ascesa di Giorgia Meloni e completare l’operazione di spoliazione di FI. Il casus belli che fa da trampolino alla nuova strategia sono le candidature in Puglia e in Campania, assegnate dai vecchi patti a Fratelli d’Italia (che ha scelto Raffaele Fitto) e a Forza Italia (che si è rifugiata in Stefano Caldoro). Contro entrambe il Capitano oppone una silenziosa ma ostinatissima resistenza, trincerato nella difesa un principio semplice: servono candidati nuovi, personaggi non usurati, le vecchie filiere vanno pensionate in favore di leve che confermino la discontinuità tra l’antico centrodestra berlusconiano e il nuovo, guidato dalla Lega.
Per entrambi gli alleati cedere alla rottamazione salviniana sarebbe un enorme problema. Nel Mezzogiorno sono rimasti finora a galla rastrellando i grandi portatori di preferenze, in molti casi eredi dei pacchetti di voti della Prima Repubblica: lasciarli a casa oppure offrirgli ruoli marginali in una partita che tutti assaporano da mesi rischierebbe di far precipitare le liste. A che serve vincere come coalizione se poi, come singolo partito, si resta al palo? Ecco perché lo scontro si è fatto incandescente negli ultimi giorni. Da Firenze, Giorgia Meloni ha apertamente accusato il Capitano di tradire le intese, sollecitando una scelta sul nome per la Toscana (che spetta alla Lega) per chiudere la partita secondo gli accordi presi nel novembre scorso. Salvini manco ha risposto. Per lui parla il tam tam dei territori, che ha prodotto la prima ma significativa rupture: in Val D’Aosta, dove le regionali sono già fissate per il 19 aprile, il Carroccio andrà per conto suo, ignorando gli appelli delle forze amiche – tra cui una personale sollecitazione di Silvio Berlusconi – a fare gioco di squadra.
Così, se nel 2019, con il governo giallo-verde, abbiamo visto il centrodestra galleggiare sullo schema «divisi a Roma ma uniti sul territorio», il modello 2020 potrebbe risultare il contrario. In Parlamento, dove le vicende del virus obbligano al silenzio e alla guerra di trincea per evitare le accuse di sciacallaggio, potremmo vedere una coalizione più sintonica. Nelle regioni, invece, l’alleanza potrebbe essere messa a dura prova o forse addirittura sgretolarsi, non solo al Sud ma pure in Veneto, dove i rumors accreditano da settimane un Luca Zaia tentato dall’idea di correre da solo e di fare cappotto. Il nuovo «Salvini rottamatore», insomma, mette gli alleati davanti a una scelta complicata: accettarlo come sovrano assoluto – così come fu a suo tempo il Cavaliere, che decideva per tutti – oppure rischiare di avere con largo anticipo un assaggio del proporzionale prossimo venturo, quando ognuno giocherà per conto suo in competizione con gli alleati. Magari è solo un braccio di ferro a dispetto, un gioco per riempire l’horror vacui politico dei giorni del coronavirus, ma forse avremo un anno politico più interessante di quel che credevamo.
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