Era il 1995 e a cadere, ma sotto i colpi della sua stessa maggioranza e non dell’opposizione, fu l’allora ministro della giustizia Filippo Mancuso dell’allora governo Dini
di Andrea Gagliardi e Andrea Marini
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La mozione di sfiducia depositata dal gruppo Pd al Senato nei confronti del ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, accusato di aver mentito nel caso dei presunti fondi russi alla Lega, è un atto politico simbolico. Non ha i numeri per essere approvata. Come non li aveva quella votata lo scorso 21 marzo l’Aula del Senato nei confronti del ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli presentate da Pd e Forza Italia: entrambe chiedevano le dimissioni immediate del ministro pentastellato, insistendo in particolare sulle sue presunte mancanze nella gestione della vicenda dell’Alta Velocità Torino-Lione.
Che la mozione di sfiducia individuale (prevista dai regolamenti di Xamera e Senato) sia più uno strumento per segnare un forte dissenso che un’arma reale nelle mani delle opposizioni per arrivare all’obiettivo dichiarato di ottenere le dimissioni richieste è la logica conseguenza dei rapporti di forza numerici in Parlamento. E lo conferma un dato storico. È successo solo una volta che una mozione di sfiducia presentata nei confronti di un ministro andasse a buon fine. Era il 1995 e a cadere, ma sotto i colpi della sua stessa maggioranza (artefice essa stessa della mozione in questione) fu l’allora ministro della giustizia Filippo Mancuso dell’allora governo Dini.
Secondo i dati riportati da Openpolis nelle prime 15 legislature deputati e senatori hanno votato una dozzina di mozioni di sfiducia nei confronti di singoli ministri, di cui solamente una andata a buon fine. Ma nella XVI e XVII è certamente aumentato il ricorso allo strumento.
Sono in totale quattro, due alla Camera e due al Senato le mozioni di sfiducia votate dal Parlamento nella XVII legislatura. Sono invece 18 al Senato e 8 alla Camera le mozioni depositate ma mai discusse. Nel luglio del 2013, pochi mesi dopo l’insediamento dell’esecutivo Letta, con il caso Shalabayeava, il Movimento 5 stelle propone il voto contro il ministro e vice premier Angelino Alfano; nel novembre dello stesso anno è il ministro della giustizia Annamaria Cancellieri ad essere sotto tiro sul caso Ligresti; a novembre del 2014, ormai nell’era Renzi, ancora una volta è il ministro Alfano al centro delle polemiche per gli scontri tra i lavoratori Ast di Terni e le forze dell’ordine; l’ultimo caso in ordine di tempo ha visto protagonista la ministra per i rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi, al centro del polverone banca Etruria.
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