Ma che cosa sono oggi i Cinquestelle, se non il ventre molle della politica italiana, e dunque del governo? Cosa vogliono, cosa dicono, cosa propongono? Soprattutto, chi li dirige realmente, stante l’evidenza della assoluta inabilità di Vito Crimi, il reggente prorogato chissà sino a quando? I due big al governo, Di Maio e Bonafede, sono messi malaccio, il primo è scomparso nei meandri della Farnesina ed è abbastanza irrilevante anche sul piano interno mentre il secondo ammonticchia guai su guai e non riesce a spegnere il clamoroso conflitto con Nino Di Matteo.
La barca pentastellata, che resta a galla nei sondaggi ma solo perché succhia sangue a una Lega in chiaro affanno, bordeggia la costa senza bussola. Va così da mesi. Da quando piano piano il Movimento si è trasformato da novità assoluta a macchina di potere e sottopotere (pensiamo alla partita sulle nomine condotta con sapienza da Prima repubblica), espellendo i pochi segni di provenienza progressista e assumendo in toto una linea un po’ di destra un po’ anarchicheggiante: mano dura sull’immigrazione e sussidi a tutti.
Nella totale assenza di direzione politica hanno proliferato i clan, i gruppetti, i voltafaccia, i timori di perdere il posto: un formicaio impazzito che bene ingrassava in tempo di pace ma che ora stride con l’emergenza nazionale in atto. Ecco, è la realtà che fa male. Non c’è un solo argomento sul quale il Movimento non si divida. Ognuno spia le mosse dell’amico, Di Maio di Fico, Bonafede di Morra, Lezzi di Taverna e via discendendo per i rami, talché il ginepraio diventa inestricabile non solo per i poveri cronisti ma per i grillini stessi.
In queste ore stanno rischiando di perdere una battaglia identitaria (di destra), quella sulla regolarizzazione dei migranti, essendo accerchiati da Italia viva, Partito democratico e Liberi e Uguali. Roberto Fico ha visto la malaparata e sta provando a far cambiare linea al suo partito trovando una mediazione che inevitabilmente sarebbe a favore della posizione di Teresa Bellanova (che deve essere abbastanza sicura di vincere se si è spinta a minacciare le dimissioni), il che vuol dire mandare in avanscoperta i suoi e mettere in minoranza la linea dura di Crimi. Sarebbe un bel ribaltone.
Stavolta infatti i grillini sono con le spalle al muro. In un incontro in video svoltosi ieri fra i ministri Lamorgese, Bellanova, Catalfo e Provenzano, i grillini hanno perso terreno. La questione non è stata risolta ma l’obiettivo della regolarizzazione è meno lontano, per questo è probabile che avremo la prima sconfitta politica del Movimento su un tema così delicato come la politica sui migranti e del lavoro, che fra l’altro è in capo alla grillina Catalfo.
Da parte sua, Bonafede resta sulla graticola dopo i nuovi attacchi di un Nino Di Matteo che ormai sembra una scheggia impazzita. Qui la questione non è tanto capire se il ministro resterà sulla poltrona di via Arenula, perché nessuno vuole toccare una casella così importante del governo, pena un terremoto generale che coinvolgerebbe tutto l’esecutivo, quanto piuttosto la forza di un Guardasigilli che nemmeno ieri alla Camera ha saputo spiegare bene come siano andate le cose e rimane dunque sempre ricattabile o comunque indebolito da uno scontro così pesante ai vertici dello Stato. E che è contestato anche all’interno del M5s per aver “osato” dire no all’icona-Di Matteo. E magari di aver subito pressioni, non si sa di chi.
Queste sono solo le istantanee di ieri di una crisi che viene da lontano, crisi di progetto, di messaggio, di leadership, sicché la prima forza parlamentare è anche la più debole: un palese squilibrio “di sistema” che rischia di logorare quel residuo di credibilità e di forza del governo italiano alle prese con un’emergenza mai vista prima.
Nessuno guida i Cinque Stelle, il ventre molle della politica italiana