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Nominati ma non pagati. Il populismo colpisce anche le task force

Tramontato il mito dell’uno che vale uno, la nuova proporzione vigente è decisamente più elevata: 450 super esperti sono al servizio di un uomo solo, quello al comando di Palazzo Chigi. Ora, 450 vale 1, un bel progresso. Ma il populismo, ciononostante, resiste, e si annida come un virus silenzioso ma insopprimibile, tra le pieghe dei 212 provvedimenti emanati, mezzo per ognuno dei membri delle 15 task force. Si conferma infatti uno dei cardini della demagogia imperante: nessuno di questi esperti viene remunerato per la sua attività.

È la regola e nessuno fa obiezioni. Gli incarichi di carattere pubblico non devono costare, essere pagati è una colpa. Le stesse indennità parlamentari (che i populisti chiamano stipendio, con mentalità impiegatizia) sono una vergogna da nascondere e comunque da tagliare o “restituire” (verbo tra virgolette, perché l’operazione è in realtà un investimento di marketing), i posti stessi della rappresentanza democratica debbono essere tagliati. C’è un referendum in attesa di plebiscito.

Sollecitando sempre gli istinti dell’invidia sociale, i 450 non pagati per il loro lavoro (solo rimborso spese, di cosa non si sa, forse del WI-FI casalingo…) sono dei veri patrioti. Lo fanno per la causa. Certo, non pagandoli come possiamo criticarli?

Ecco anche perché il numero può tranquillamente lievitare. Come mai solo 13 compagni di viaggio di Vittorio Colao? Mancano nella task force un sacco di competenze, perché la lottizzazione non copre lo scibile umano. Già che ci siamo, a costo pari, saliamo pure a 500!

Del resto, diciamo la verità, la generosità con cui questi esperti prestano la loro sapienza può essere ben diversamente remunerata, e alla fine ha comunque una bella resa. Fa curriculum, peccato che non si usino più i biglietti da visita. Ma c’è di più. La professoressa che teorizza da anni il super Stato è stata già piazzata nel Cda di Leonardo, e lì la remunerazione non può essere cancellata.

Le società quotate in Borsa non ammettono prestazioni professionali gratis. Magari pagheranno compagni di banco di un ministro, portaborse stellati e imbucati che appena cambia il Governo negheranno anche sotto tortura di essere stati designati da un partito, pardon da un movimento, ma li pagheranno.

Per retribuire i presidenti di Provincia dopo un quinquennio gratuito è stata inserita solo di recente una norma fantasma in un decreto qualsiasi, perché ci si vergognava di far sapere che questi poveri disgraziati vengono quanto meno remunerati per un lavoro a tempo pieno e delle responsabilità assai pesanti (chiedere agli imputati di Rigopiano).

Insomma, il virus populista non demorde e viene da lontano. Se le normali aziende non contemplano la gratuità e neppure limiti fissati dall’umore populistico del momento, lo Stato invece continua ad avere la soglia 240 mila euro come punto di riferimento, legata all’indennità, chissà perché, del Presidente della Repubblica. Nessuno (non è vero, ma la forma è questa) deve prendere di più, anche se ha ruoli decisionali che vanno ben oltre la rappresentanza. Non importa se poi Rocco Casalino guadagna più dell’Avvocato del popolo.

Nominati ma non pagati. Il populismo colpisce anche le task force

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