A volte succede di rimanere vittime della propria trappola. Succede, ma è un’eccezione. E se crisi di governo sarà, sarà proprio perché Salvini e Di Maio sono rimasti impigliati nella pantomima che hanno architettato per gettare un po’ di fumo negli occhi all’opinione pubblica sul Russiagate: Salvini, per far sì che si parli d’altro.
Di Maio, per farsi vedere duro e puro di fronte a una vicenda che imbarazza non poco i Cinque Stelle. Di reale non c’è nulla, o quasi. Siamo al solito wrestling istituzionale tra forze politiche costrette a litigare per poter governare assieme senza perdere voti. E costrette a stare assieme per evitare di implodere ciascuna nelle proprie contraddizioni.
Non c’è crisi, dicevamo, perché nessuno dei due, né la Lega né i Cinque Stelle, vuole andare a votare. Non vuole Di Maio – chiamalo scemo – perché perderebbe metà dei seggi, e pure la leadership. Non vuole Salvini perché sarebbe da pazzi fare un’intera campagna elettorale a rispondere di rubli, corruzione internazionale e alto tradimento. Per quanto possa contare, non vogliono votare nemmeno Forza Italia, anch’essa destinata a essere decimata da eventuali elezioni, e neppure il Pd, soprattutto i renziani del Pd, sempre per questioni di poltrona.
Non c’è crisi, aggiungiamo, perché non c’è un’alternativa. Mettetevi il cuore in pace: è più probabile che Modric vada al Milan che Pd e Cinque Stelle trovino un accordo parlamentare. Anzi, se possibile Di Maio e Zingaretti stanno facendo di tutto per evitarlo. Giusto ieri, il leader dei Cinque Stelle ha definito il Pd come il “partito di Bibbiano” e dal Nazareno è partita una querela per diffamazione contro il ministro dello sviluppo economico.
Se è una trattativa politica, la stanno nascondendo molto bene. Anche trovassero l’accordo, peraltro, difficilmente avrebbero dalla loro i voti dei renziani, che al Senato sono decisivi. E ancor meno quelli di Forza Italia, che non possono permettersi di tradire Salvini, a meno che non vogliano una crisi in ogni regione in cui governano con la Lega.
Non c’è crisi, non dimentichiamolo, perché nemmeno il Quirinale la vuole. Perché c’è una manovra da 30 miliardi di tagli e tasse che attende il governo a ottobre e Mattarella vuole che sia lo stesso governo che ne ha spesi altrettanti giusto un anno fa a disattendere le proprie promesse, e a prendersi la responsabilità di un’eventuale aumento Iva, o dei tagli a detrazioni e deduzioni fiscali, o alla fine degli 80 euro in busta paga. Se sarà governo tecnico, o saranno elezioni, sarà a gennaio o febbraio. Non ora, non qui.
Non c’è crisi, concludiamo, perché non lo vogliono i mercati. Ieri lo spread ha chiuso a 186, il valore più basso da un anno a questa parte almeno. Indifferente al caos istituzionale, alle bordate tra Salvini e Di Maio, alla minaccia del caos. Segnale più che evidente che nessuno ci crede, al caos. Specularmente, nessuno vuole che il caos travolga questa bonaccia, e i nostri eroi parlano tutti i giorni con banchieri, finanzieri, industriali. Difficile credere che agiscano senza tenerne conto. Difficile credere che siano così folli.
www.linkiesta.it