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Nota per il Pd, i Cinque stelle sono più a destra di Gengis Khan



 

Una delle cose più surreali della politica italiana è quella della fazione vincente del Pd convinta che Matteo Renzi sia di destra e, per questo, un elemento spurio da cacciare dal partito e adesso da combattere come nemico principale, magari assieme alla «Milano che non restituisce», qualunque cosa voglia dire, ma che poi acrobaticamente si entusiasma per un’alleanza strategica con una società a responsabilità limitata (di Milano!) fondata da un ciarlatano anarcoleghista che studiava sui romanzi Urania, farneticava di Pianeta Gaia e auspicava l’esposizione dei corrotti in apposite gabbie sulla tangenziale. Come sia possibile che un partito serio, quale è il PD, continui a essere vittima di una allucinazione collettiva di questa portata resta un mistero irrisolto.

L’analisi politica dei Democratici è controintuitiva, tutta un’altra storia, perché considera i Cinque stelle una costola della sinistra nonostante siano guidati sul campo da due ragazzotti di solida famiglia fascista che prendono voti negli stessi luoghi, e con le stesse percentuali, delle ex aree berlusconiane del paese. Non solo. Più Di Maio e Di Battista tuonano contro il Pd, il partito che strappa i bambini ai genitori di Bibbiano, più Zingaretti e Franceschini si sciolgono in una corrispondenza d’amorosi sensi con questi amici immaginari e non osano interferire con le loro parole d’ordine di estrema destra, dallo spazzacorrotti ai taxi del mare, dal decreto sicurezza allo smantellamento della democrazia rappresentativa, fino al grottesco botta e risposta sullo ius soli che ha lasciato Di Maio «sconcertato» e pronto a far cadere il governo se il Pd pensa davvero di volere, rullo di tamburi, «un governo di sinistra».

A convincere il Pd della reale collocazione politica dei Cinque stelle non sono bastate le frequentazioni con gli uomini di Putin e il tentativo di svendita ai cinesi delle infrastrutture italiane né l’abbraccio con i gilet gialli o l’entusiasmo per Trump e il dileggio per Obama, o il tentativo di costruire un fronte europeo con i bei ceffi croati di Zivi Zid, i polacchi di Kukiz ’15, e i greci di Akkel, ma nemmeno la prossimità con i fusti di Casa Pound o i viaggi alla Borat del sottosegretario Manlio Di Stefano per uno studio culturale sull’Italia a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan e mille altre cose che fanno dei Cinque stelle una costola di Gengis Khan, più che della sinistra.
Certo, il Pd non è solo: nella favola dei grillini di sinistra sono cascati fior di intellettuali, artisti ed elettori, compresi certi personaggi caricaturali che si erano addirittura proposti come assessori di Virginia Raggi per guidare il riscatto culturale della città e le magnifiche sorti e progressive dell’umanità.

Un paio di giorni fa, in un’incredibile intervista alla Stampa, Pierluigi Bersani si è addirittura appellato a Beppe Grillo per risolvere il gran caos grillino, «caro Grillo, ci puoi pensare solo tu. Parla, fatti sentire», lo stesso Grillo antivaccinista e complottardo, quello che sosteneva che «Bin Laden non era tradotto bene, me lo ha detto mio suocero» e che l’altroieri ha pubblicato sul suo sacro blog un’indecente difesa dei crimini cinesi contro gli uiguri, descrivendo lo Xinjiang come una «nuova frontiera» kennedyana dove tutto fila liscio come l’olio e le organizzazioni non governative che protestano sono al servizio della CIA, proprio mentre il New York Times pubblicava 403 pagine di documenti cinesi sulla brutalità di Pechino nei confronti di un milione di persone rinchiuse nei campi di concentramento per ragioni religiose e di un’intera etnia schiacciata «senza pietà», per usare le parole dei vertici cinesi.
Ma volete mettere con Renzi che si fa il partito e Milano che non restituisce?

 

 

 

 

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