In media sono trascorsi 108 giorni dallo scioglimento alla nomina
di Eugenio Bruno
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Nella prima crisi di governo ferragostana della nostra storia il fattore tempo riveste un ruolo fondamentale. Complice l’incrocio forzato di almeno tre calendari:
1) quello parlamentare, che porterà il Parlamento alla calendarizzazione e al voto di sfiducia per l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte ;
2) quello istituzionale, che impegnerà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in almeno un giro di consultazioni prima di uno scioglimento anticipato delle Camere che al momento appare inevitabile; 3) quello economico, che prescriverà l’invio entro il 15 ottobre delle linee guida della prossima legge di Bilancio.
Arrivarci con un esecutivo già nel pieno dei suoi poteri appare praticamente impossibile. Tenuto conto che per evitare l’esercizio provvisorio una manovra va comunque varata entro fine anno, impiegare un giorno in più o in meno in ognuno dei singoli passaggi politico-istituzionali in agenda rischia di essere determinante per il futuro dell’Italia. E i precedenti degli ultimi 25 anni non inducono di certo all’ottimismo.
Dal 1994 a oggi ogni volta che per la nascita di un nuovo governo si è passati dalle urne sono serviti in media 108 giorni dalla chiusura del Parlamento al giuramento del presidente del Consiglio e dei suoi ministri.
Il primato positivo si è avuto nel 2001 quando trascorsero appena 83 giorni tra il momento in cui il capo dello Stato di allora, Carlo Azeglio Ciampi, dichiarò chiusa la XIII legislatura e quello in cui il premier Silvio Berlusconi tornò per la seconda volta a Palazzo Chigi dopo la brevissima esperienza del ’94.
Usarlo come benchmark può essere fuorviante. Sia perché la legislatura era giunta a scadenza naturale sia perché il risultato delle urne fu decisamente netto con un’ampia maggioranza di centrodestra in entrambi i rami del Parlamento. In un’Italia che aveva da poco sperimentato il bipolarismo e che sembrava trovarcisi tutto sommato a proprio agio.
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