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Open Arms, abbiamo scherzato: ma quindi bastava il governo in crisi per riscoprirci umani?

Si rompe un tabù nel discorso pubblico sull’immigrazione e gli sbarchi ed è il ministro Elisabetta Trenta a pronunciare la parola finora proibita non solo alle latitudini del governo ma molto spesso anche in quelle dell’opposizione, con rare eccezioni. La parola è “umanità”. “La politica non può perdere l’umanità, per questo non ho firmato” ha detto la ministra della Difesa giustificando il rifiuto di apporre la sua indispensabile sigla al nuovo decreto di Matteo Salvini volto a negare l’ingresso, il transito e la sosta in un porto italiano alla Open Arms e ai 147 disgraziati a bordo, fra i quali numerosi minori e alcuni bambini. Magari è un caso, ma ancora una volta è una donna a tagliare la strada alle politiche muscolari del Viminale, e se su Carola Rakete si poteva esercitare l’ironia e l’invettiva di classe – viziata, ricca radical-chic, esibizionista, agente di Soros e della Merkel – sarà più difficile farla con la responsabile della nostra Difesa, già consigliere della Farnesina in Iraq, country advisor in Libano, analista del Centro Militare Studi Strategici, insomma una abituata a osservare e gestire il conflitto in posizione di massima competenza.

Certo, quella della Open Arms è una vicenda che va letta con il filtro della crisi tra M5S e Lega. Certo, lo strappo sull’operazione porti chiusi è figlio della rupture politica nel governo e della ricerca di sintonie con il Pd. La Trenta parla così perché Salvini è diventato un nemico, una settimana o dieci giorni fa non lo avrebbe fatto (e non lo ha fatto). E tuttavia l’appellarsi alle ragioni dell’umanità prima ancora che a quelle della legalità e alla sentenza del Tar che ha reso possibile lo sbarco segna un passaggio liberatorio nella discussione su profughi e migranti, finora incatenata alla narrazione iper-securitaria del Carroccio alla quale nessuno osava sottrarsi.

Il sottotesto delle parole della ministra è chiaro a tutti, anche se nessuno lo ha esplicitato. Ma come, il governo è virtualmente caduto; non sappiamo di che morte morirà il Paese; siamo alla vigilia di emergenze indecifrabili, forse una nuova campagna elettorale, forse una inedita coalizione a Palazzo Chigi, una manovra difficilissima, l’aumento dell’Iva… Davvero è il caso di accanirsi contro un gruppo di poveracci feriti e disidratati? Cosa dovremmo dimostrare lasciandoli a bollire al largo di Lampedusa? Che siamo un Paese forte, che siamo padroni a casa nostra? Fa un po’ ridere.

Pochi minuti dopo, la questione immigrazione è diventata anche il nocciolo del lungo messaggio del premier Giuseppe Conte a Matteo Salvini, centrato su un giudizio politico tranchant: la “ossessiva concentrazione nell’affrontare il tema dell’immigrazione riducendolo alla formula porti chiusi”. La cosa sorprendente è la replica piuttosto cauta del titolare del Viminale, che si è limitato ad elencare i suoi successi nel contrasto alla criminalità e agli sbarchi, confermando l’idea che improvvisamente l’intransigenza dei vecchi tempi sia diventata un fardello scomodo, che si annusi un cambiamento del vento, della percezione collettiva. Un Paese tutto sommato tranquillo poteva applaudire (e persino divertirsi, nei casi più infami) davanti alla caccia ai poveracci, e incitare al blocco, alla distruzione, all’annegamento. L’Italia di Ferragosto ha improvvisamente scoperto altri e più colossali problemi e forse comincia anche a riconsiderare quella parola proibita, “umanità”. Non più il marchio distintivo di una fatale debolezza ma un sentimento accettabile, ora che abbiamo capito che il nostro futuro non sarà determinato da cento o mille profughi in più o dall’accanimento contro una singola nave.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/08/16/open-arms-migranti-governo-crisi-salvini/43226/

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