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Orbàn catalizza le fratture nel centrodestra

il tour romano

Il premier ungherese incontra separatamente Meloni, Berlusconi e Salvini. Pesano la competizione interna e la sfida sovranista in Ue

di Manuela Perrone

4 febbraio 2020


Orban a Bruxelles da Von der Leyen, poi tappa a Roma da Meloni

3′ di lettura

Doveva tornare a Roma Viktor Orbán perché si mostrassero plateali le spaccature e la competizione nel centrodestra italiano. Tre leader, tre incontri diversi, tre tavoli ai quali giocare. Dal punto di vista del premier ungherese un successo, per la destra nostrana la prova di movimenti in ordine sparso. Con la sfida al vertice tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

L’asse con Meloni
L’ascesa di Meloni si misura, oltre che con la crescita di consensi di Fratelli d’Italia in tutto il Paese, anche con il suo iperattivismo diplomatico. Lunedì 3 febbraio è stata lei ad aprire al Grand Hotel Plaza della Capitale i lavori della “National Conservatism Conference”, il summit dei conservatori promosso dalla Edmund Burke Foundation, con politici come lo spagnolo di Vox Santiago Abascal e la francese Marion Maréchal. È stata sempre lei ad accogliere Orbán, nel giorno in cui il Ppe ha deciso di prolungarne la sospensione, offrendogli una sponda significativa: «Se Fidesz decidesse di abbandonare il Partito popolare europeo, i conservatori di Ecr sarebbero l’approdo naturale. Noi lo accoglieremmo a braccia aperte».

La leader Fdi da Trump
All’indomani della stretta di mano con il premier magiaro, Meloni è volata negli Usa di Donald Trump per incontri con diversi esponenti democratici e repubblicani, ma soprattutto per prendere parte alla 68esima edizione del “National Prayers Day”, rito della politica americana che sarà concluso proprio da Trump. A fine mese inoltre la numero uno di Fdi sarà di nuovo tra i partecipanti della Conservative Political Action Conference. Non stupisce che Time la abbia inclusa tra le venti persone più influenti del 2020.

Salvini rivale diretto in Italia
Il segretario del Carroccio è consapevole della lotta e della posta in palio. Il suo progetto di “Lega nazionale”, contestato pubblicamente da Umberto Bossi e a taccuini chiusi da altri leghisti della vecchia guardia, ha bisogno, per decollare, di fare breccia proprio nell’elettorato conservatore del Sud, da sempre distribuito tra Fdi e Forza Italia. Meloni, dunque, è sua diretta concorrente. Va letta indossando queste lenti la decisione di Salvini di disertare la kermesse dei conservatori, cui avrebbe dovuto intervenire martedì 4 febbraio, e di incontrare Orbán lo stesso giorno, ma privatamente.

La competizione in Europa
Il sogno di un grande fronte sovranista in Ue si allontana di giorno in giorno. Mentre la leader di Fdi in Europa siede in Ecr insieme ai polacchi, il gruppo in apparenza più moderato e rispettato che potrebbe accogliere anche Orbán, Salvini non pare avere intenzione di mollare Identità e democrazia, il gruppo nato sulle ceneri dell’Enf che accoglie la Lega e il Front National di Marine Le Pen. Ovvero la destra radicale. Con la Brexit, Id è diventato il quarto gruppo all’Europarlamento, scavalcando i Verdi, e l’ostilità degli altri conservatori europei a Le Pen impedisce di immaginare fusioni. In questo scenario, se anche gli ungheresi dovessero transitare in Ecr dove già siedono i polacchi di Kaczinsky, Meloni conquisterebbe lo scettro di madrina sovranista. E Salvini resterebbe isolato.

Anche Berlusconi vede Orbán
Pure il Cavaliere si è ritagliato un ruolo diverso dagli altri leader. Da sempre rappresenta per Orbán la “spalla” per la sua permanenza nel Ppe di Angela Merkel, ma il mood tra i Popolari è diventato sempre più ostile nei confronti del primo ministro ungherese, contestato per le leggi liberticide e la “democrazia illiberale”, come lui stesso ha definito il suo regime. È altrettanto vero, però, che per il Ppe rinunciare ai 13 seggi di Fidesz non è una scelta indolore. Berlusconi tenta adesso l’ultima mediazione. E intanto litiga anche lui in patria con Salvini e Meloni per la scelta dei candidati alle prossime elezioni regionali. Il tour romano di Orbán ha catalizzato le fratture.

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