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Paradosso Zingaretti: il più scettico sul governo giallorosso è dovuto diventarne il paladino

dopo gli attacchi di renzi e di maio

Finora aveva optato per il silenzio, i toni moderati, gli interventi soltanto sui temi, mai sulle polemiche. Ma anche Nicola Zingaretti è dovuto scendere nell’arena dove da giorni Matteo Renzi e Luigi Di Maio stanno dando fuoco alle polveri

di Manuela Perrone

21 ottobre 2019


Il segretario del Pd Nicola Zingaretti (Ansa)

2′ di lettura

Finora aveva optato per il silenzio, i toni moderati, gli interventi soltanto sui temi, mai sulle polemiche. Ma ieri sera anche Nicola Zingaretti è dovuto scendere nell’arena dove da giorni Matteo Renzi e Luigi Di Maio stanno dando fuoco alle polveri. E lo ha fatto alla vigilia del vertice di maggioranza preteso dai Cinque Stelle, rendendo palese quel che era già evidente: il suo asse con il premier Giuseppe Conte.

«Non accetto il gioco a chi la spara più grande», ha scandito ieri sera Zingaretti in tv ospite di Giletti a La7 il segretario dem. Chiarendo lui, dopo l’ultima intemerata di Di Maio contro la manovra, il messaggio che Conte non può mandare, almeno non in questi termini: «Nessuno ricominci a mettere bandierine perché gli italiani non sono dei cogl… e ci sarà una rivolta».

Che cosa ha trasformato il sorridente e paziente numero uno del Pd in un leader talmente furioso da ricorrere alla parolaccia usata da ultimo (era marzo 2019) da Silvio Berlusconi? Il fatto è che a neanche due mesi di vita il Governo giallorosso è già diventato un’altra cosa. In culla era sostenuto da tre partiti, uniti dall’interesse a impedire alla Lega di Matteo Salvini di stravincere alle urne. Adesso i partiti sono diventati quattro, due dei quali (Italia Viva di Renzi, cui si deve l’imprimatur al progetto e il M5S di Di Maio, che ha voluto Conte premier) hanno preso a cannoneggiare contro il presidente del Consiglio. Generando il paradosso: il segretario più riottoso all’avventura giallorossa è dovuto diventarne il paladino.

Tra i parlamentari dem in Transatlantico qualcuno allarga le braccia: «Ci tocca sempre il ruolo di responsabili, ci siamo abituati». Il timore non riguarda tanto il presente – i più sono convinti che su legge di bilancio e decreto fiscale un compromesso si troverà – quanto il futuro. La prospettiva di una guerra quotidiana di logoramento. L’asse Renzi-Di Maio contro Conte, che fa traballare il Governo. E soprattutto l’avvenire del Pd, che non vuole appiattirsi nella parte di stampella del premier e bersaglio prediletto (ancora) di Renzi. Rischiando l’impopolarità.

Per questo i dem negli ultimi giorni hanno a più riprese evocato il voto come unica alternativa se il livello di litigiosità non si abbasserà. Il gioco di M5S e Italia Viva – puntellare la legislatura, non questo Esecutivo – li danneggia. Meglio correre l’altro rischio: fare scudo intorno al premier, simul stabunt simul cadent.

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