Il governo Conte uno verrà ricordato per aver approvato il reddito di cittadinanza e quota cento, ma anche per aver chiuso i porti e per aver abolito la prescrizione. Piaccia o no, è stato un governo che ha fatto qualcosa, qualcosa che è rimasto nella percezione degli elettori e nella realtà delle cose. Allo stesso modo, il governo Renzi sarà ricordato per il Jobs Act, per Industria 4.0, per gli 80 euro in busta paga, per le unioni civili, per il dopo di noi, per l’assunzione di centomila insegnanti e per le riforme costituzionali poi bocciate al referendum.
Il governo Monti, invece, è stato il governo che ha salvato l’Italia dallo spread e dalla bancarotta, anche grazie alla riforma delle pensioni di Elsa Fornero. Andando ancora più indietro, Prodi ci ha portato nell’euro, ha fatto l’indulto, le privatizzazioni e le liberalizzazioni, mentre D’Alema è quello della guerra nei Balcani. Gli anni di Berlusconi sono stati quelli della legge Biagi, della Bossi-Fini sull’immigrazione, della riforma delle pensioni di Maroni, dell’attivismo in politica estera, dell’eliminazione dell’imposta sulla successione e dell’Ici, dell’abolizione della leva militare, dell’introduzione della patente a punti, del divieto di fumare nei luoghi pubblici, oltre ovviamente alle cosiddette leggi ad personam.
Il Conte due, infine, non ha ancora fatto niente, nulla di nulla, e non sembra nelle condizioni di poter fare alcunché. Governare senza sapere che cosa fare o per limitarsi a proporre cose laterali e vaghe è inutile, anzi dannoso. Ieri il Partito democratico ha presentato un piano strategico per l’Italia con quattro pilastri (crescita e ambiente, lavoro, conoscenza, comunità) e cinque obiettivi (rivoluzione verde, burocrazia, diseguaglianze, scuola, sanità), totale nove tra pilastri e obiettivi, ma nemmeno una cosa chiara, autoevidente ed efficace da poter dire al telegiornale della sera. Scomparsi, peraltro, lo ius soli o ius culturae o l’abolizione dei decreti sicurezza che Nicola Zingaretti aveva promesso con grande foga, inalberandosi contro chi osava mettere in dubbio la sua reale volontà. Come non detto: non sono né un pilastro né un obiettivo.
Un dibattito simile si è aperto negli Stati Uniti, con il New York Times che ha invitato i Democratici a intestarsi qualche battaglia concreta, in particolare sulle infrastrutture, come fece per esempio Franklin Delano Roosevelt trovando un modo di far uscire l’America dalla Grande Depressione. Allora il presidente americano varò un mega progetto di interventi infrastrutturali – strade, ponti, ferrovie – che non solo rimisero in moto l’economia ma che garantirono la rielezione di Roosevelt. L’idea era semplice: realizzare opere che servono, visibili, funzionanti e riconoscibili dagli elettori. Nel gennaio 1937, ha scritto David Leonhardt, il magazine Life pubblicò una doppia pagina infografica con una grande mappa degli Stati Uniti puntellata di decine piccoli disegni, ciascuno dei quali mostrava il progetto di un ponte, di una strada, di un aeroporto o di una portaerei finanziati da Roosevelt con i soldi dei contribuenti. Era la lavagna berlusconiana mostrata da Bruno Vespa, in versione print. Ma è esattamente quello che si dovrebbe fare, per evitare a un governo a braccia conserte di tirare a campare: altro che pilastri e obiettivi, il Pd dovrebbe andare ai vertici di maggioranza, in Parlamento e in televisione a proporre di riavviare l’economia e i posti di lavoro finanziando la costruzione di opere grandi e piccole, utili e tangibili, da usare e da vedere, e non inventarsi sotterfugi per rimodulare l’IVA o altre misure apprezzabili solo da chi esercita la professione di commercialista.
Matteo Renzi ha un piano shock di investimenti pubblici da 120 miliardi, di cui non parla nessuno anche perché c’è chi dice che i soldi in realtà non ci sono, mentre lui giura di sì. Sugli spiccioli si vedrà, ma intanto ciò che conta è il progetto ambizioso di ricostruzione dell’Italia da far diventare la priorità dell’azione di governo. Gli alleati della maggioranza non si espongono, anche per evitare di regalare a Renzi una passerella, ma più in generale perché i Cinque Stelle pensano prevalentemente a farsi la guerra tra di loro e il Pd passa con disinvoltura da pulsioni di suicidio assistito a proposte tecniche e minimali senza visione e senza prospettiva come se fosse un’associazione di amministratori di condomino anziché un partito di governo.
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