«Tra poco saranno i 5 Stelle, e non il Pd, a dover decidere da che parte stare. È ora di ricostruire in questo Paese un sano bipolarismo tra centrosinistra e destra». Sono bastare queste poche parole, pronunciate certo non dall’ultimo arrivato nella comunità democratica, Walter Veltroni, per far tornare l’ombra delle fibrillazioni politiche interne, così evidenti nelle settimane precedenti alle primarie. Se poi le sommiamo alle dichiarazioni recenti di Romano Prodi, per cui «I dem stanno finendo di essere solo il partito dei ricchi», si capisce bene che i due più importanti fondatori del Pd stanno realmente tracciando la strada. Una strada che, inevitabilmente, mette in risalto una spaccatura filosofica e politica ben presente nel Pd, che l’elezione di Nicola Zingaretti e il successo della giornata delle primarie del 3 marzo hanno solo per il momento silenziato.
Ma perché i renziani storcono il naso per le parole di Veltroni e di Prodi? Perché presentano uno scenario diverso rispetto a quello immaginato da Renzi. Detto in poche parole, il primo segretario del Pd e l’ex presidente del Consiglio hanno in mente uno schema per cui il radicamento bipolare, grazie all’azione della segreteria Zingaretti, finirà per mettere, uno contro l’altro, il centrosinistra e la destra a trazione salviniana. Ma siccome difficilmente il centrosinistra stesso può ambire, nel breve periodo che loro s’immaginano precedente alle elezioni anticipate, al 42-43% dei voti necessari per governare, s’immaginano anche che un ruolo debba essere giocato dal Movimento 5 Stelle.
I grillini infatti, anche ammesso che andranno a perdere parecchi voti rispetto alla scorsa tornata, nella peggiore delle ipotesi rappresenteranno una forza del 15-20% il cui contributo sarà fondamentale per la formazione di un governo. Veltroni (e Prodi) vedono nei Cinque Stelle l’ago della bilancia. Che poi, volendo essere maliziosi, è un po’ quello che dice da anni Pier Luigi Bersani, quando sostiene che i grillini sono “il nuovo centro”, scatenando ire e ironie del popolo legato al “senatore semplice di Scandicci”.
Sarà per questo che lo scenario appena rappresentato manda in tilt i dem di fede renziana. Lo schema di Renzi, infatti, è diverso. Per l’ex rottamatore, il M5S fa parte integrante della destra e il Pd deve opporsi allo stesso modo a Salvini e a Di Maio (per interposta persona, Casaleggio). Il bipolarismo renziano non è tra destra e sinistra in senso tradizionale, ma tra populisti e progressisti, tra sovranisti ed europeisti, tra razionale e irrazionale, tra cervello e pancia. Non è un mistero che, in un quadro siffatto, Renzi preferirebbe di gran lunga che il Pd si alleasse con un centrodestra moderno, europeo e maturo, scommettendo sull’emancipazione di questa area da Salvini, piuttosto che con ciò che resta del Movimento 5 Stelle. E non è un mistero neppure che il Pd renziano non abbia nulla a che fare con “il partito dei poveri”, parafrasando le parole di Romano Prodi. Guardando fuori dall’Italia, Renzi e i suoi “ideologi” preferiscono Ciudadanos al Psoe in Spagna, hanno come riferimento europeo Emmanuel Macron, si considerano più vicini alle politiche di Angela Merkel che alle istanze del primo Tsipras, considerano Jeremy Corbyn un problema e non certo una risorsa del mondo socialista.
Questa spaccatura sentimentale, nel Pd, è viva e ciclicamente tornerà a galla, come successo nelle ultime ore. Il nuovo segretario Zingaretti ha imposto, a se stesso e ai suoi, la linea della pacificazione e dell’unità, che reggerà, tra alti e bassi, fino alle elezioni europee. Renzi, dal canto suo, ha accettato la tregua (obbligato dai numeri e dal successo del presidente della Regione Lazio). Ma alla lunga i contrasti saranno destinati a tornare in tutta la loro evidenza, soprattutto in caso di uno showdown anticipato della “creatura” giallo-verde. A quel punto, ancora una volta, si proporrà sulla strada del Pd, il bivio della scissione e della necessaria ricomposizione. Per i dem l’alternativa sarà quella di far capire, una volta per tutte, se siano la causa o possano essere la soluzione dell’anomalia politica italiana.
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