Una fondazione del partito che da una parte promuova la ricerca su temi utili ai programmi di governo e dall’altra sia rivolta alla formazione della classe dirigente. L’idea è stata lanciata nelle scorse ore dal neo segretario del Pd durante il suo primo incontro con i deputati democratici alla Camera. Dalla morte del vecchio partito comunista con la sua scuola delle Frattocchie la suggestione di una scuola di partito si è sempre riaffacciata a sinistra. Ma a parte il breve tentativo di Matteo Renzi con la sua Scuola Pasolini, che nei mesi in cui è stata attiva si è limitata al pur encomiabile scopo di far incontrare chi la politica la fa con chi la vorrebbe fare, fin qui è rimasta appunto una suggestione.
Il modello tedesco
Zingaretti, parlando ai deputati democratici, ha citato espressamente il modello tedesco. E il riferimento più naturale per il Pd è quello della fondazione vicina al partito socialdemocratico tedesco, la Spd: la fondazione Friedrich Ebert (è primo presidente tedesco eletto democraticamente, alla guida della Repubblica di Weimar dal 1919 al 1925). Ma il modello delle fondazioni di partito in Germania è diffuso e consolidato, a partire da quella della cattolica Cdu intitolata all’ex cancelliere Konrad Adenauer, e gode del finanziamento pubblico ai partiti e alle loro fondazioni che a differenza che in Italia non è mai stato messo in discussione. Nel complesso, tra fondi per il funzionamento delle fondazioni e fondi a progetto si tratta di 400 milioni di finanziamenti pubblici destinati solo alle fondazioni di partito. È un modello trasportabile in Italia?
Governance indipendente
Di sicuro la prima fondazione di partito volta sia alla promozione del dibattito politico e culturale dell’area attraverso borse di studio e ricerca sia alla formazione di classe dirigente sarebbe una assoluta novità nel nostro Paese, come ci spiega il direttore della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Massimiliano Tarantino. «La cosa più importante è l’indipendenza della governance – dice Tarantino – in modo da slegare l’attività culturale e di promozione del dibattito della fondazione dalle finalità elettorali contingenti. Gli strumenti sono un comitato scientifico autorevole e un collegio di garanti liberi da ruoli dirigenziali di partito. Il presidente onorario potrebbe anche essere il presidente del partito, ma dall’amministratore delegato in giù serve massima indipendenza. Solo così si creano le condizioni per un fondazione “diffusa”, vicina al territorio e agli amministratori, che parte dai bisogni concreti per diventare scuola permanente, generatrice di soluzioni come incontro tra teoria e pratica». Conservazione del patrimonio storico dell’area, promozione del dibattito pubblico su temi specifici, attività divulgativa nella cultura d’area democratica, ricerca, incontro e scambio tra chi fa politica e chi la vorrebbe fare, formazione di classe dirigente. Una fondazione che con le sue attività si rivolga (e coinvolga) persone che si riconoscono nell’area pur non essendo iscritte al partito. Nel caso italiano potrebbe raccogliere attorno a sé tutto ciò che non è destra, promuovendo i valori democratici.
Il finanziamento
Progetto ambizioso, certamente. E anche costoso. Il panorama italiano, dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti decisa proprio durante i governi del Pd (era premier Enrico Letta) è molto diverso da quello tedesco. Per Tarantino la ricerca dei finanziamenti dovrebbe muoversi attraverso due direttrici: una rivolta alle filiere economiche, alle Pmi come alle grandi imprese, e l’altra direttamente ai cittadini. «Si può pensare alla riedizione del vecchio tesseramento – suggerisce Tarantino – spostato però dal mantenimento della burocrazia e delle attività del partito alla fondazione. Un vero e proprio tesseramento parallelo rivolto a tutti gli elettori. Tra i cittadini che non intendono iscriversi al partito ce ne sono molti che sarebbero disposti a donare 5 euro, 10 euro o 50 per finanziare le attività della fondazione dell’area». Tra le finalità di una fondazione del genere, in fondo, c’è anche quella di far crescere la partecipazione pubblica: meno smartphone e più dibattiti su temi di attualità.
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