Ma Fico è visto come fumo negli occhi dall’ala dimaiana del Movimento: da sempre l’alter ego di Di Maio, è il punto di riferimento dei cosiddetti “ortodossi” (la corrente che annovera tra gli altri i deputati Luigi Gallo, Giuseppe Brescia, Doriana Sarli e i senatori Nicola Morra e Matteo Mantero, oltre che la dissidente espulsa Paola Nugnes). Il timore è che la sua ascesa allo scranno più alto di Palazzo Chigi terremoti l’attuale gruppo dirigente, scalzando i fedelissimi di Di Maio, a partire da Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, e indebolendone fortemente la leadership. Finora in pochi hanno chiesto apertamente un ricambio. Tra loro la deputata Carla Ruocco, che ha accusato Di Maio di aver fatto ammalare il Movimento di «demeritocrazia».
La nota odierna dei capigruppo M5S, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, che definisce il Movimento «unito e compatto intorno al capo politico» rivela la difficoltà del momento, serve a blindare Di Maio al timone e richiama l’appello a marciare come «una testuggine romana» lanciato dal vicepremier lo scorso ottobre, quando tra decreto fiscale, via libera al Tap e primo Dl sicurezza, i segni di malessere tra i suoi parlamentari si moltiplicavano. Se pure passasse la linea di Fico premier, a Di Maio resterebbe un ministero? E per Conte quale ruolo si aprirebbe? Tornerebbe in campo come commissario Ue, col placet del Pd? Senza dimenticare il fattore Renzi: sia lui sia Maria Elena Boschi hanno già fatto sapere che non entreranno in squadra. Ma quali renziani potrebbero far parte della compagine senza destabilizzare la base Cinque Stelle?
Le partite si intrecciano, nessuno fa mostra di ottimismo. Per questo il totonomi è ancora apertissimo, con Raffaele Cantone ed Enrico Giovannini che restano in pista e con la disponibilità a vagliare altre figure per chiudere in tempi rapidi, come vuole il capo dello Stato. L’alternativa, lo sanno bene tutti, è il voto anticipato. Ai piani alti dei Cinque Stelle ci si prepara: oggi i parlamentari hanno ricevuto via mail un messaggio dell’associazione Rousseau, presieduta da Casaleggio, che ha invitato tutti a completare le rendicontazioni trimestrali «in vista di eventuali elezioni e dei relativi controlli sulle candidature».
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