Il Nord Italia, cioè la parte più produttiva del Paese, è interamente in mano a Salvini. Il “partito del Pil”, quello degli industriali che, si diceva, stavano voltando le spalle alla Lega, ha deciso di dare un’ulteriore apertura di credito alla destra, a dispetto dell’effimera incetta di voti di Pisapia e Calenda. Anche in Emilia-Romagna, per la prima volta nella storia, la Lega ha (di poco) superato il Pd.
Nel centro Italia, regge la Toscana (l’unica regione in cui i dem sono primo partito), crollano Umbria e Marche, limita i danni il Lazio. Nel Sud il Pd è il terzo partito, dopo Cinque Stelle e Lega, e in ottica nazionale è il dato che dovrebbe preoccupare di più. In queste elezioni, l’affluenza, infatti, è stata massicciamente più bassa nel Mezzogiorno, e se proiettassimo le percentuali al livello del dato del 2018, i grillini vedrebbero le loro scarse percentuali di oggi aumentare vistosamente.
Da dove ripartire, dunque, per Zingaretti? Il Pd è primo partito a Torino, Milano, Genova, Roma, Cagliari, in molte città dell’Emilia e della Toscana. A Firenze e Bologna le percentuali sono addirittura bulgare. C’è una parte del Paese, evidentemente minoritaria, rappresentata dalle aree metropolitane più importanti e avanzate, in cui la narrazione salviniana ha fatto meno breccia che altrove. È per questo che non è sbagliato pensare ai Dem come il primo vero partito metropolitano d’Italia.
Quella tra città e provincia non è una contrapposizione nuova. E neppure inedita. Funziona così in Europa (da Londra a Parigi, da Berlino a Barcellona) e nel mondo (si pensi alla New York di Bill De Blasio e all’America rurale di Trump). Dentro questo dato, però, si nota come il Pd abbia percentuali altissime nei centro città, da Roma a Milano, che vanno via via calando più ci si sposta verso le periferie. Quella che solo qualche anno fa era la prevalenza del centrosinistra nella stragrande maggioranza dei centri principali, anche in provincia, oggi si limita ai nuclei più ristretti delle grandi città.
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