C’è una possibilità non troppo remota che il Pd possa optare per una legge elettorale in senso maggioritario, di comune accordo con il partito leader della coalizione avversaria. No, non è uno scherzo. Lega e Pd potrebbero arrivare insieme a un modello elettorale che, sulla base dei rapporti di forza e dei consensi sbobinati ad oggi, andrebbe a premiare proprio Salvini. Tuttavia, secondo il deputato e costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, la questione è molto più complessa. Lo spunto per parlarne ci sarà questo fine settimana a Milano nell’incontro di Base Riformista, anche se il padre della svolta maggioritaria degli anni Novanta specifica a Linkiesta che «non è il Pd che da solo può rompere la maggioranza stabilendo una maggioranza variabile sul sistema elettorale», ma è l’intera maggioranza che deve cercare «il consenso su una legge che riguarda tutti».
È possibile che il Pd opti per una legge elettorale in senso maggioritario?
È stato fatto un accordo di maggioranza che prevede che entro il 20 dicembre sia depositata una proposta dell’intera maggioranza, offerta come proposta comune a tutti i gruppi di opposizione. E quindi iniziato un confronto interno alla maggioranza. Esso ha anzitutto escluso le soluzioni opposte: i sistemi proporzionali con sbarramenti bassi o inesistenti perché frammentano troppo; i sistemi maggioritari uninominali perché in un contesto di frammentazione o possono non rispondere allo scopo di aggregare intorno a un vincitore o, all’opposto, possono determinare un super-vincitore. Dopo questa delimitazione del perimetro, il Pd, nel confronto in corso, ha sostenuto che il proprio sistema preferito sarebbe quello con premio di maggioranza, analogo a quello dei Comuni superiori a quindicimila abitanti, e che può accettare come subordinata un sistema con sbarramento purché effettivamente alto e selettivo.
Visto il taglio dei parlamentari e il consenso della Lega di Salvini, come si potrebbe tradurre questa scelta?
La riduzione dei parlamentari porta con sé l’esclusione di sistemi uninominali maggioritari perché meno parlamentari sarebbero eletti in collegi più grandi, negando un effettivo rapporto diretto, che sarebbe la motivazione principale per preferire quei collegi.
Essa porta con sé a legge invariata anche una divisione in due del Senato, con le Regioni grandi che resterebbero a chiara dominante proporzionale e quelle medio piccole che avrebbero invece fortissimi effetti maggioritari.
E allora che fare?
Questo secondo profilo va affrontato anche con la mini-riforma costituzionale che consente di non far coincidere le circoscrizioni con le regioni, dando più coerenza e flessibilità al sistema. Il consenso alla Lega di Salvini è anzitutto un problema politico, prima che di sistema elettorale. È però, poi, anche un problema istituzionale perché le posizioni estreme della Lega, tipiche da democrazie illiberali, euroscettiche e filo-putiniane, rivelano un’alta polarizzazione ideologica. In presenza di questa eterogeneità occorre evitare formule elettorali che possano portare a un super vincitore in grado di eleggere da solo gli organi di garanzia e di riformare la Costituzione senza poter accedere al referendum. Questa prudenza, però, esclude i maggioritari uninominali, ma non un premio limitato che si fermi al cinquantacinque per cento dei seggi. Infatti quel quorum è al di sotto sia del quorum della revisione costituzionale senza referendum, sia di quello dell’elezione dei giudici costituzionali e solo apparentemente poco sopra quello dell’elezione presidenziale. In quel caso, come anche per i giudici, vi è la garanzia ulteriore del voto segreto che tende ad escludere gli estremisti.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/29/stefano-ceccanti-legge-elettorale-pd-salvini-maggioritario-renzi/44552/