Il palese imbarazzo con cui il vice primo ministro Andrea Giorgis, e i responsabili delle commissioni parlamentari e del settore giustizia del Pd, coordinati dal vice-presidente del Senato Anna Rossomando, hanno presentato la proposta del partito sulla prescrizione era il più eloquente dei commenti sul momento politico. Sguardi persi nel vuoto, teste basse, toni flebili: una mesta incombenza per onor di firma, nella piena consapevolezza di non riuscire a bloccare la legge del ministro Alfonso Bonafede, e di perdere la faccia, parafrasando il ben più solenne Churchill del dopo Monaco nel 1938.
La strombazzata controriforma del Pd si limita ad un “ritocchino” della moribonda legge Orlando, (che verrà sostituita dal primo gennaio dalla legge di Bonafede), che già era ricorsa all’espediente di sospendere, nei gradi dell’appello e del ricorso, il decorso della prescrizione per complessivi tre anni. La “novità” proposta dall’Orlando 2 è l’allungamento di tale blocco fino ad un massimo di tre anni e mezzo.
Come ha tenuto a sottolineare enfaticamente il capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera Alfredo Bazoli «è matematicamente sicuro che nessun reato si prescriverebbe». Sostanzialmente il Pd chiede si reintroduca (rectius: si mantenga) la vecchia normativa Orlando che prevedeva un termine massimo di tre anni.
Ma il punto non è questo: il diavolo sta nei dettagli, e la debolezza di tale proposta è proprio in ciò che viene omesso, e che pure nella conferenza stampa viene indicato, sempre da Bazoli, come un tratto caratterizzante: e cioè la non operatività del blocco della prescrizione nei casi di assoluzione. Si tratta di un lapsus rivelatore, perché nell’articolo di legge proposto dal Pd, in realtà, non ce n’è traccia. Una dimenticanza, un difetto di tecnica legislativa oppure, come mormora qualche fonte accreditata, una rinuncia obbligata per evitare profili di incostituzionalità sul principio di presunzione di non colpevolezza che investe tutti gli imputati fino ad una condanna definitiva?
Se così fosse sarebbe anche peggio, perché vorrebbe dire che il partito sa bene quale sia il problema della sciagurata riforma di Bonafede: la lesione di un principio costituzionale previsto dall’art. 27 secondo comma della Carta, per cui in ogni imputato è da ritenersi non colpevole fino a sentenza definitiva. Non è un caso che questa disposizione sia contenuta dentro lo stesso articolo che prevede la funzione rieducativa della pena (comma 3) ed il principio di personalità della responsabilità penale (comma 1).
Si tratta della norma costituzionale in assoluto più disattesa in un paese dove si è colpevoli per un avviso di garanzia, meritevoli di marcire in galera per ogni condanna, e dove la colpa di uno diventa la macchia di un gruppo o di una etnia: gli zingari come i politici, e gli imputati per i reati di genere o criminalità organizzata, soggetti per cui i diritti costituzionali non esistono.
E non è un caso neanche che sui principi dell’art. 27 il segretario Pd Nicola Zingaretti sia incorso in due vistose gaffe allorché ha definito “stravagante” la sentenza della Corte Costituzionale sulla limitazione degli effetti dell’ergastolo ostativo, ed infine invitato Salvini ad andare dai magistrati che lo hanno incriminato per dimostrare (lui imputato, e come tale presunto incolpevole) la sua innocenza. Un enorme, insuperato, problema culturale, che impedisce al Pd di capire nella sua gravità il fatto che il blocco della prescrizione viola un principio costituzionale come quello di non colpevolezza.
Se il Pd l’avesse davvero capito, avrebbe avuto un’unica scelta: quella di opporsi in ogni modo alla legge Bonafede, anche votando il disegno di legge Costa che ne prevedeva il rinvio. Difficile dire dunque se l’atmosfera di imbarazzo della conferenza stampa fosse dovuta alla modesta qualità della proposta, o al timore di aver concesso troppo a quel poco che rimane del garantismo nel partito.
Il Pd sicuramente non scatenerà la crisi sulla prescrizione, ma comunque dovrà presto misurarsi con una scelta che potrà creare imbarazzo: il referendum promosso dall’Unione camere penali contro la riforma Bonafede, per il quale il presidente dell’associazione Caiazza ha già sollecitato l’appoggio delle forze politiche.
È un’iniziativa che avrà l’appoggio di uno schieramento ampio e trasversale, che potrà raccogliere le forze di destra ma giungerà anche agli sparsi settori riformisti e liberali (Italia Viva, Azione, Radicali, + Europa) fino a toccare la corrente di Base Riformista nel Pd e i settori progressisti della magistratura, che oggi patiscono la politica di compromesso dell’Anm.
In poche parole, l’Unione degli avvocati penalisti (e di altre associazioni forensi tentate dall’impegno in prima persona) che oggi a tutti gli effetti è un movimento politico di area liberale, potrà coagulare settori di opinione pubblica e di voto in cerca di rappresentanza e di battaglie civili. E per il Pd sarà necessaria una scelta che potrebbe essere ancora più lacerante e divisiva di quella odierna.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/28/prescrizione-pd-bonafede-tre-anni/44891/