Non si hanno candidati, tantomeno sondaggi validi. La data è stata decisa dal governatore uscente, denigrato dal partito di appartenenza e al momento ai margini del confronto, mentre le coalizioni sembrano congerie senza un inizio e una fine. Più che la preparazione per un turno delle regionali, in Calabria vige il caos più assoluto. Un caos che comunque ha il suo peso politico – in forza anche del fatto che l’ipotetica data del voto coincide con quella dell’Emilia-Romagna -, sia a livello nazionale sia a livello interpartitico. Gli interessi in campo sono circoscrivibili sul locale, gli effetti hanno respiro nazionale: il Pd zingarettiano dopo aver chiesto un passo indietro al governatore uscente Mario Oliverio, che non sembra però avere intenzione di farsi da parte, lavora per un secondo esperimento di coalizione con i Cinque stelle, i quali a loro volta, scottati dall’esperienza umbra, tastano il polso dei calabresi in cerca di una risposta valida per provare lo sprint in solitaria.
Nel frattempo, invece, il centrodestra ritrova l’arrangement da Seconda Repubblica, con Forza Italia pronta a indicare il nome del candidato tra quelli nel carnet dei berluscones e una Lega, seguita dalla remora Fratelli d’Italia, stretta sul chi vive, schietta nel dire no a nomi con macchie sulla fedina ma flessibile se nel pacchetto Calabria si affacciano progetti d’intesa futura, come la Campania.
L’ex giornalista calabrese de l’Unità, Aldo Varano, dipinge lo scenario politico calabrese come “un pendolo continuo”. Da circa vent’anni, infatti, nella terra dei Bronzi di Riace si consuma ogni fine mandato la solita manfrina: i governi uscenti non vengono mai riconfermati, vuoi per inefficacia dei programmi proposti, vuoi per un malumore condiviso verso la più complessa “questione Meridionale”. Si passa da sinistra a destra, più per alternanza scontata che per programma.
La Calabria intanto è in coda in ogni classifica in tema di welfare, istruzione e qualità della vita nel rapporto Svimez, il che induce la popolazione ad additare la giunta in carica per ogni mancanza che riscontra, nonostante (per fare un esempio) è il governo ad aver esautorato la regione dalla gestione della sanità per 18 mesi. Queste istanze locali vengono pertanto raccolte dalla forza alternativa di turno, in questo caso il centrodestra.
I dem alla europee si sono piazzati dietro sia ai 5 stelle sia alla Lega e, oltre a non avere un nome forte, la mancanza di legami con il tessuto sociale è stata appesantita dalle vicende giudiziarie in testa a Oliverio. Fonti interne al Pd, confermano in ogni modo la volontà dell’ala zingarettiana di stringere per un accordo con il Movimento, infastidito dalla debacle appena conclusasi ma disposto a scendere a un compromesso per dividendi: ovvero, in caso di sconfitta colpe ed errori si condividono con i compagni di governo, scongiurando così un’ulteriore concessione all’opposizione per un personale errore.
Anche se nel 2014 la vittoria del centrosinistra fu netta, con il 61,41%, un Movimento 5 Stelle che prese il 4,96% e un centrodestra diviso che arrivò con Forza Italia a Fratelli d’Italia al 25,6% e i centristi all’8,7%, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, i pentastellati si sono rifatti prendendo a livello regionale il 43,4%, mentre il centrodestra si è fermato al 32,1% e il centrosinistra non è andato oltre il 17,1%. Fino ad arrivare alle europee del maggio 2019: il Movimento 5 Stelle è stato il partito più votato con il 26,69%, avvicinato però dalla Lega che è arrivata al 22,61%. Il PD invece non è andato oltre il 18,25%, con Forza Italia al 13,32% e Fratelli d’Italia al 10,26%.
Polveri bagnate se rapportate al modello elettorale in forza: nell’impianto proporzionale sono infatti cambiate le soglie di sbarramento per poter accedere al consiglio regionale, lasciando presagire una vittoria schiacciante di una coalizione unita di centrodestra, salvo la nascita di un patto tra i pentastellati e il centrosinistra. Che, assorbito il trauma umbro, secondo la sponda ortodossa del Partito democratico “si è già siglato con il nome di Pippo Callipo, imprenditore del tonno gradito ai cinquestelle e spendibile anche dai dem”.
Chi invece è alle prese con disegni lungimiranti sono Salvini e Berlusconi. Fonti vicine ad Arcore chiosano che una parola data tra i due c’è: in Calabria si candida un uomo della Carfagna, alla quale poi si affiderà la terra natia nella prossima primavera, cioè la Campania. Forza Italia senza il Capitano è un getto senza pressione, per la Lega invece il mordente forzista sull’elettorato potrebbe rimediare all’assenza di una solida figura di fiducia candidabile.
Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza, da primo della lista è stato depennato, per volere della Lega, date le inchieste giudiziarie che lo riguardano; il fratello Roberto, deputato tra le fila azzurre, potrebbe prendere il suo posto, in alternativa all’altro “figlioccio” di Mara Carfagna: il reggino Francesco Cannizzaro. Carfagna troppo speso dura nei confronti dell’appiattimento dei suoi alle linee guida di Salvini, motivo per cui – premio o punizione che si voglia – potrebbe essergli “proposta” la sedia di governatore della Campania. Per un futuro del partito del Cav tanto nebuloso quanto il presente del Pd.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/07/elezioni-regionali-calabria-m5s-pd-lega-forza-italia/44251/