Una stizzita Liana Milella, musa del partito giustizialista, ha scritto che la prima sentenza emessa dalla Corte Costituzionale sulla legge fiore all’occhiello del ministro Bonafede non è assolutamente una sconfitta per il politico ex dj di Mazara del Vallo. La Consulta era chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità della legge che esclude ogni differimento dell’esecuzione della pena una volta divenuta definitiva la condanna.
Così come per i reati di terrorismo e mafia, i condannati per gravi reati contro la pubblica amministrazione in galera ci vanno di filato e poi si vede, mentre nella norma per le condanne entro i quattro anni si può chiedere di accedere direttamente a misure alternative alla detenzione, come l’affidamento ai servizi sociali. Il problema però si poneva per i condannati divenuti definitivi prima dell’entrata in vigore della legge. A loro quali norme si applicavano? Le vecchie o le nuove?
In un mondo normale, con un legislatore di media cultura, al varo di ogni legge che incide sui diritti delle persone si ha cura di aggiungere un’apposita disciplina transitoria che appunto stabilisce i tempi di applicazione della legge. Nel caso manchino indicazioni (come è capitato alla legge di Fofò dj) si applicano, nel mondo normale, gli ordinari principi costituzionali, noti anche a Liana Milella, per cui ogni legge si applica dal momento della sua entrata in vigore in avanti.
Nell’Italia di oggi, però, capita che a disapplicare i normali criteri di interpretazione della legge siano proprio i giudici chiamati ad applicarla. Come segnala la Corte Costituzionale nel suo comunicato, una parte non indifferente dei giudici italiani ha ritenuto, in omaggio a Bonafede, che la sua legge si applicasse anche per il passato e dunque anche per gli sventurati che già stavano espiando la pena, fidando e godendo delle vecchie regole. Tra di essi, anche coloro che avevano patteggiato confidando proprio sulla possibilità di evitare il carcere. Niente: anche loro in galera.
Ebbene, la Consulta ha scritto che questa originale interpretazione della Spazzacorrotti è illegittima e che ogni legge che incide sui diritti fondamentali vale per il futuro, non per il passato. Ciò è successo perché una minoranza di giudici ha ragionato diversamente e si è rivolta alla Corte che è intervenuta, cosa non frequente per dichiarare incostituzionale non la legge – che peraltro era incompleta – ma la sua interpretazione. La Corte ha bacchettato i giudici perché invece di interpretare la legge secondo Costituzione hanno interpretato la volontà di Fofò.
A questa irriducibile e pericolosa minoranza di giuristi si deve la residua sopravvivenza di uno Stato di diritto.
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