Il leader di Italia viva Matteo Renzi ha deciso di muoversi su due fronti: da una parte la presentazione di un emendamento al Dl fiscale per reintrodurre lo scudo, ossia l’immunità penale, la cui cancellazione ha fornito la «scusa» a Mittal per tirarsi indietro
di Emilia Patta
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Matteo Renzi, furibondo per il recesso da parte di Mittal che rischia di affondare l’Ilva di Taranto, ha deciso di muoversi su due fronti: da una parte la presentazione di un emendamento al Dl fiscale per reintrodurre lo scudo, ossia l’immunità penale, la cui cancellazione ha fornito la scusa>> a Mittal per tirarsi indietro. Un modo per stanare il Pd, che sulla vicenda dello scudo penale ha seguito la posizione del M5s pur non essendo d’accordo, ma anche per tentare il colpo confidando nei voti di tutto il centrodestra berlusconian-salviniano.
La cordata del 2017
Dall’altra l’ex premier si sta muovendo per far tornare in campo la cordata che perse nel 2017 la gara contro Mittal, ossia Arvedi-Jindal. Una riedizione della vecchia cordata, insomma, con Sajjan Jindal, già proprietario delle ex acciaierie Lucchini di Piombino (nel cda c’è il suo amico fraterno Marco Carrai), il gruppo Arvedi di Cremona e Cassa depositi e prestiti. «È complicato ma ci si deve provare», conferma Renzi. Facendo anche capire che a suo avviso, con il recesso da parte di Mittal, non ci sarebbe bisogno di una nuova gare per la quale mancherebbe tra l’altro il tempo.
Qualcuno vuole chiudere Taranto?
«Gli indiani di Mittal hanno annunciato il recesso perché se ne vogliono andare. Io sostengo che lo abbiano previsto da tempo e usino la scusa della rimozione dello scudo penale (scelta sbagliata dei governo Conte 1, scelta ancora non sanata – purtroppo – dall’attuale maggioranza) per andarsene. Parlare dello scudo penale significa guardare il dito mentre il dito indica la Luna. Qui il problema è capire se qualcuno vuole chiudere Taranto, uno degli stabilimenti potenzialmente migliori in Europa, per togliersi dai piedi un potenziale concorrente. È un rischio che molti hanno evocato fin dai tempi della gara, nel 2017», spiega Renzi in una e-news. «Penso che in un Paese serio si dovrebbe agire insieme per una soluzione, anziché litigare. Io non mi rassegno alla chiusura di Ilva, e lavoro per evitarla».
Il botta e risposta Calenda-Renzi
Nel mirino dell’ex premier c’è anche l’ex ministro dello Sviluppo dei governi del Pd Carlo Calenda, che ha fortemente voluto nel 2017 la soluzione Mittal. «Volle quella soluzione a tutti i costi», ricorda Renzi. E Calenda, naturalmente, non le manda a dire: «Renzi deve smettere di giocare al piccolo merchant banker perché è una cosa che ha fatto già per Alitalia e ancora sto aspettando di vedere la famosa cordata che lui aveva messo insieme. Renzi pensa a Jindal, che è un suo amico perché sta a Firenze, ma Jindal sta rilanciando Piombino e se Renzi si mette a fare casino fa sì che Jindal non fa investimenti su Piombino… Poi siccome Jindal, che era l’altra cordata che ha perso perché investiva molto meno. Chiedeva esattamente come Arcelor-Mittal l’immunità, il giorno che gli danno l’immunità Mittal fa una causa per 400 miliardi di euro allo Stato».
Il meno che si possa dire è che tra Renzi e Calenda volano stracci. In campo c’è comunque l’annunciato emendamento per reintrodurre lo scudo penale. E in mezzo ci sono il Pd e soprattutto il premier Giuseppe Conte, che nelle prossime ore incontrerà i vertici di rcelor-Mittal a Palazzo Chigi, per trovare una soluzione che salvi l’Ilva e i suoi posti di lavoro.
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