Macron sulla carta non è il più grande, però è il più forte e ha cominciato a giocare come faceva negli anni ’80 Bettino Craxi con la Dc, i suoi alleati e il suo vero avversario, il Partito comunista. Ogni equilibrio politico presente e futuro dipende da lui e il presidente francese esercita già il suo potere di veto. Un popolare tedesco presidente della commissione? E perché mai? Manfred Weber, il leader dei cristiano-sociali bavaresi, Spitzenkandidat del Ppe, è un politico intelligente e solido, ma non è certo l’unto del signore e tanto meno del popolo. E chi allora al suo posto? I liberali hanno diversi uomini (come il belga Guy Verhofstadt) e donne (come la danese Margrethe Vestager) certamente di primo piano. Ma per loro vale l’antico motto staliniano: quante divisioni hanno? Troppo poche e sarebbero facilmente accusati di fare da re travicello.
Macron non si sbilancia e parla di un mediatore, una figura che possa unire e non dividere. Si dice che pensi a Michel Barnier, il negoziatore della Brexit che (guarda caso) è francese, oltre che ex gollista. Vedremo. La poltrona ne porta con sé altre tre: la presidenza del consiglio europeo, quella del parlamento e ultima, ma certo non per importanza, quella della Bce perché Mario Draghi scade il 31 ottobre. Attorno a queste quattro figure chiave si gioca una partita di potere che non è solo di onori e favori, ma di linea politica, tale quindi da condizionare l’Unione e i suoi paesi per i prossimi anni. Può darsi che il gioco spregiudicato di bastone e carota non funzioni e Macron perda, in tal caso il grand hotel si trasformerebbe in una casa d’appuntamenti.
Il punto di forza del presidente francese non sta solo nel ruolo dell’Alde, ma anche in quello della Francia. Una Germania senza Angela Merkel è comunque più debol. Si aggiunga poi la batosta dei democristiani e dei socialisti e il successo dei verdi che sono senza dubbio interlocutori dei liberali, e il quadro è completo. Non solo. Con la Brexit (quando e se mai avverrà, bisogna dirlo a questo punto) l’Unione europea avrà una sola potenza militare, anzi nucleare. Chi non capisce quanto questo sia importante non capisce nulla di politica. Ciò vale in generale e ancor più oggi perché viviamo in uno scenario di conflitti armati tutt’altro che freddi, caldissimi anzi bollenti: Siria, Libia, terrorismo islamico, Russia e Ucraina, tanto per parlare di scacchieri nei quali l’Unione europea dovrebbe calare le proprie carte. Macron se ne rende conto come del resto tutti i suoi predecessori: vedremo se e come userà la sua force de frappe politica. Tutte le partite che riguardano l’assetto istituzionale della Ue e lo stesso euro saranno condizionate da questa Francia potenza solitaria, con una Germania partner debole e una Spagna che emerge già come terza gamba. La retorica europea continuerà ad agitare l’asse franco-tedesco, in realtà l’Unione che esce dalle elezioni è davvero a geometria variabile.
Dove si colloca Matteo Salvini? Con il gruppo di Visegràd? Cioè alla periferia? Per rispondere bisogna capire come il leader leghista vorrà usare il suo successo. Davanti a sé ha il macigno economico. Che non è fatto solo di debito pubblico, ma di stagnazione. Tutto il gran discutere di deficit e parametri, come si fa anche nella lettera che la Ue ha inviato a Roma, mette in sordina il problema numero uno: l’Italia non cresce, proprio non ci riesce. È un problema innanzitutto per l’Italia, ma anche per la Ue. Gli squilibri interni e il rischio che la terza economia dell’Unione resti un vagone di coda sempre lì lì per staccarsi non può non coinvolgere tutti, a cominciare dai paesi più forti. Da quel che ha detto Salvini nell’ebbrezza del successo, pensa di far ripartire il paese con un taglio delle imposte dirette, la famosa flat tax (anche se adesso spunta la singolare novità che potrebbe essere volontaria).
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