Così vicini al punto di rottura non c’erano mai stati. E non solo per la guerra di dichiarazioni che è andata in onda ieri per tutta la giornata ma per i “simboli” che questo duello tra Salvini e Di Maio ha toccato. Innanzitutto il terreno dello scontro sono le inchieste giudiziarie, un campo su cui i 5 Stelle non possono permettersi di cedere, soprattutto nel pieno della campagna elettorale. E dunque non appena è arrivata la notizia dell’indagine per corruzione a carico di Armando Siri, sottosegretario leghista, è subito partita la richiesta di dimissioni da Di Battista e poi da Di Maio, mentre Toninelli gli toglieva le deleghe dal ministero delle Infrastrutture. Ma qui si è innescato il punto di non ritorno: perché toccare Siri è come toccare il “Capitano” data la vicinanza tra i due.
Del resto, lui si è avvicinato alla Lega proprio con Salvini e il legame politico è stretto da una bandiera: la proposta della flat tax di cui Siri è il teorico. Così la controffensiva leghista è partita subito. Prima al Consiglio dei ministri dove pare che le liti tra i due alleati abbiano toccato nuovi picchi, dopo per via pubblica con una raffica di dichiarazioni (ordinate da Salvini) fatte dai capigruppo leghisti di Camera e Senato oltre che da ministri come Centinaio. Obiettivo: Virginia Raggi. Anche lei un simbolo per i 5 Stelle ma che Salvini ha messo nel mirino da un po’ e che ieri ha colpito per affondare: «Non è adeguata a fare il sindaco», ha detto in serata da Bruno Vespa.
Un gioco al massacro e non è chiaro chi resterà in piedi dopo questa raffica di colpi. Il dilemma però si pone per Salvini, è lui che deve fare i conti su come usare il patrimonio di consensi accumulato. Investirlo nel Governo per altri 4 anni nonostante le risse con i grillini e il rischio di cominciare anche lui ad andare giù? La storia anche recente dimostra che non è semplice mantenere un pacchetto di voti, soprattutto se sono il frutto di un’onda quasi miracolosa come è quella di cui ha beneficiato il leader leghista. In fondo, per lui non è stato difficile: hanno giocato a suo favore le debolezze dei 5 Stelle, il declino di Berlusconi e l’assenza per più di un anno del Pd. In pratica ha fatto goal a porta quasi vuota usando argomenti come l’immigrazione avvertiti come prioritari dagli italiani. Ma per quanto durerà? C’è, come si sa, l’imbuto della legge di bilancio ma c’è soprattutto un dilemma: perché tenere “congelati” i suoi consensi vuol dire dare tempo ai suoi avversari di riorganizzarsi.
Ecco quindi che dietro la mossa di Salvini di alzare il tiro sulla Raggi non c’è solo l’intenzione di difendere Siri ma la tentazione di aprire subito la crisi per votare a fine giugno. E la ragione è pure di calendario. Dopo le europee sarà difficile staccare la spina, perché si andrebbe oltre l’estate mentre in autunno tutto si complica per la presentazione della legge di bilancio che Mattarella vorrà “salvaguardare” da scossoni. Il paradosso sarebbe continuare come adesso: un piede nel Governo e l’altro nelle risse con i grillini con la certezza di arrivare alla scadenza elettorale (magari tra un anno) logorato e con la “colpa” di aver sprecato un tesoretto di consensi.
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