Indro Montanelli ha scritto che De Gasperi e Andreotti andavano insieme in Chiesa, solo che il primo parlava con Dio, il secondo parlava con il prete. Salvini, invece, parla con i parrocchiani, giurando sul Vangelo, agitando il rosario, difendendo i crocefissi e i presepi, anche quando nessuno vuole fargli del male. Che si recasse allo stadio, a Palazzo Chigi, a passeggiare in centro, dal salumiere, dal confessore, dal barbiere, in un salotto romano o in curia, Andreotti si vestiva sempre nello stesso modo: completo blu/grigio scuro, camicia bianca, cravatta scelta in una gamma di colori ristretta. Salvini cambia abbigliamento a ogni appuntamento. È un camaleonte. L’abito di uno allude all’immutabilità. Quello dell’altro alla novità continua. Tra i due, c’è di mezzo la rivoluzione del neo-potere.
Per il film che ha dedicato a Andreotti, Paolo Sorrentino ha scelto come titolo: “Il Divo”. Era uno dei tanti soprannomi tra cui poteva pescare: Belzebù, Molok, Sfinge, Gobbo, il Papa Nero, Volpe. La parola divo viene dal latino divus. Porta nel campo della divinità. Che è in alto, lontana, inarrivabile, enigmatica, inafferrabile. Come Andreotti, appunto. Mentre Salvini è estraneo a tutto ciò: è vicino, a portata di mano, perfino indistinguibile da noi, sempre esposto al nostro sguardo. Ha la faccia incazzata di chi deve andare al lavoro il lunedì mattina. Un po’ scorbutico. Uno che va subito al sodo. È una questione di costume: cioè, di tutto l’essenziale. L’imperativo di Andreotti era essere alla guida: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”, diceva. Per Salvini, al contrario, è fondamentale essere guidato: dall’umore della gente, dal sentimento dei più, dalla forza dello stormo di opinioni che migra verso una posizione, e poi verso un’altra, mentre lui, con l’abilità di un surfista, deve stare in testa all’onda. È questa la mutazione che ha trasformato il Principe: da Divo, è diventato Influencer. La sua statura si misura in base all’aderenza al flusso, al volume di approvazione di cui si nutre, dagli applausi che riceve. Si è stravolta la massima più celebre di Andreotti. Non è più il potere, è il consenso che logora chi non ce l’ha.
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