
La proposta più bizzarra arriva da un gruppo romano che chiede ai parlamentari sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia di scendere in piazza malgrado il lockdown, “contro gli oligarchi”, minacciando in caso contrario astensioni di massa: se non fanno nulla «per evitare la distruzione dell’Italia», allora «leviamogli le poltrone».
Non è la sola voce di smarrimento e malcontento che sale dal fondamentalismo sovranista, turbato dal declino dei sondaggi e dal definitivo venir meno della prospettiva di una rivoluzione elettorale a breve. Come spesso succede, l’estremismo si rivela una trappola per chi l’ha sollecitato, blandito, incoraggiato. Non consente riflessioni o aggiustamenti di tiro: pretende fedeltà alla linea anche quando i suoi presupposti sono venuti meno.
In un universo parallelo senza Covid, ora saremmo al termine di una campagna elettorale micidiale per i governatori di Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia, Veneto e Valle d’Aosta. Ovunque, tranne forse in Toscana, il centrodestra starebbe assaporando il gusto di una vittoria senza precedenti, con il controllo di 19 regioni su 20, grimaldello perfetto per imporre le Politiche anticipate.
La mancata realizzazione di quello scenario ha stracciato la road map sovranista, che non è mai stato un progetto di lungo periodo ma è da sempre fondata sull’idea del blitz, della guerra-lampo, della spallata a breve termine contro l’usurpatore di governo.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono stati oggettivamente sfortunati. Il virus ha seppellito il loro Piano B (il Piano A era la presa del Palazzo nell’estate 2019, al tempo del Papeete) e forse non ci sono più energie per studiare un Piano C che si discosti dal copione di una ostinata difesa delle posizioni.
La ragion politica imporrebbe di riconsiderare la strategia di alternativa di sistema e immaginare un ruolo in un futuribile esecutivo di salvezza nazionale. Forse i generali lo farebbero pure volentieri. Ma alle loro spalle i soldati semplici già impugnano i forconi, si preparano a infilzarli in caso di cedimenti “agli oligarchi”, e quindi no, non si può fare neanche questo.
Sono vicende già viste nella storia delle opposizioni italiane. A destra, in particolare, c’è sempre stato un riflesso pavloviano che privilegiava la conservazione dei bacini elettorali a ogni altra considerazione.
Il vecchio Msi, per dirne una, ebbe un paio di opportunità di rompere l’Arco Costituzionale che chiudeva la destra nel ghetto, sia nell’emergenza terrorismo dei primi anni ’70 sia all’inizio dell’era Craxi. Le rifiutò entrambe nel timore che sgretolassero lo zoccolo duro dell’elettorato nostalgico. La Lega ha una storia differente, e tuttavia la segreteria di Matteo Salvini ne ha cambiato il Dna nel profondo.
Non è più il partito del Nord, pragmatico riferimento dell’area più produttiva del Paese, ma si è fatta forza ribellista e antisistema su scala nazionale. Tutto ciò che separa l’attuale 25% (ultimo sondaggio Ipsos) dal 10% dei tempi d’oro di Umberto Bossi è stato raccolto nel campo delle rabbie sociali diffuse e del coacervo di sentimenti irriducibili riassunto dallo slogan “Prima gli italiani”. Conservare quei consensi cambiando linea politica è impossibile.
E il Capitano la sua scelta l’ha fatta: meglio tenersi stretti i voti, meglio andare avanti come al solito. I sondaggi calano, è vero, ma è probabile che si tratti solo del salto dal carro del voto opportunistico, quello che aveva scommesso su una imminente presa del Palazzo. Si coccoleranno gli altri. La fine della quarantena, annunciata ieri, consentirà di rimettere in moto la macchina della propaganda. L’Europa e il Mes forniranno nuovi campi di battaglia.
Ci saranno nuovi complotti anti-italiani da denunciare, nuovi show parlamentari da mandare in onda, e forse pure la protesta di piazza che l’estremismo chiede. Insomma, sarebbe un errore di prospettiva illudersi che la modesta crisi di consenso dell’ultimo mese segni un ripensamento del sovranismo italiano, lo induca a più miti consigli: probabilmente, appena la riapertura lo consentirà, succederà l’esatto contrario.
Salvini e Meloni sono in difficoltà, ma finita la quarantena torneranno competitivi