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Salvini guida la rivolta dei cattolici anti-Bergoglio per riprendersi la scena

 

Matteo Salvini ha colto la palla al balzo facendo balenare nel suo grigissimo cielo l’idea di una manifestazione di piazza il primo maggio – tutti con la mascherina, a debita distanza – arricchendo il suo bagaglio polemico di una nuova arma potenzialmente esplosiva: l’opposizione dei cattolici al reiterato divieto di celebrare messa. E di saldare così all’argomento “forte” del «lasciateci uscire» quello nientemeno della “libertà di culto” declinato alla maniera della parte più conservatrice, se non reazionaria, del mondo cattolico, sospinta da un atto incomprensibile del governo verso antichi lidi “vandeani” e, chiaramente, antibergogliani. Ci mancava questo, nella cosiddetta Fase 2, una manifestazione, un super assembramento, una ripresa aspra e contundente della lotta politica.

Sono in corso tentativi di rattoppare lo strappo di Conte: si è mosso il costituzionalista (cattolico ex presidente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana) e deputato del Partito democratico, Stefano Ceccanti, che proporrà un emendamento al decreto di riordino delle fonti normative che verrà discusso giovedì alla Camera. Una proposta che ha già ricevuto il via libera di Graziano Delrio, per consentire la libertà di culto, previo un “protocollo” con le varie confessioni, le cui modalità verrebbero poi definite da tecnici. 

In pratica, sarebbe il rovesciamento della logica sin qui seguita da una politica che ha scelto di venire puntualmente dopo le indicazioni dei tecnici. Tecnici (medici, scienziati) da molti considerati i veri “padroni” delle decisioni anche grazie a quella debolezza della politica che oggi trova nel governo Conte un’espressione perfetta: ed è probabilmente questo assetto che andrà modificato, restituendo alla politica la primazia nelle decisioni. Ma intanto, sulla questione delle messe, il boccino ce l’hanno avuto i medici: troppo pericoloso riaprire, si vedrà più avanti.

Ma intanto la Lega salviniana intravede l’occasione – come aveva scritto su Linkiesta Flavia Perina – per riprendere la piazza è ribadire dunque l’impossibilità di un clima in qualche modo unitario. Il terreno scelto è scivoloso. Va ricordato che il partito di Salvini interloquisce, o comunque è il punto di riferimento politico, di aggregazioni più o meno pubbliche di settori cattolici che contestano il nuovo corso aperturista e contemporaneo di Papa Francesco.

Tutta un’area orfana della stagione del Family day e ancora priva di una “linea politica” chiara, confusa dall’avvento del governo giallo-rosso, sospettosa dell’ex grillino Conte, allarmata dal ritorno al governo della sinistra. Inaspettatamente, quest’area, che ha ancora diversi punti di riferimento nell’episcopato il vescovo di Trieste, si trova fra le mani un formidabile argomento polemico contro il “governo di sinistra” guidato da quel Conte che ha ottimi rapporti con il primo dei loro avversari, Bergoglio.

E questo argomento glielo ha scodellato sul piatto d’argento proprio l’avvocato del popolo ribadendo nel suo Dpcm illustrato in tv il prolungamento del divieto di celebrare messa. La reazione della Cei è stata non solo veemente ma super-tempestiva, a rendere ancora più chiara la delusione per una scelta che non era stata concordata.

Una cosa inaudita, in effetti. Lasciando correre il sospetto che le cose siano andate anche peggio, e cioè che si sia lasciato credere ai vescovi italiani che il lockdown delle Chiese si sarebbe allentato, salvo poi comunicare urbi te orbi – è il caso di dire – che il divieto era confermato. 

Viene dunque da chiedersi se nel Governo ci sia una figura abilitata a tenere i rapporti con la Santa Sede e con la Cei, come è sempre avvenuto in tutti i governi. È Conte stesso che gestisce il dossier?Probabile. Ma allora perché la stessa Cei, nel suo durissimo comunicato, fa riferimento a una interlocuzione con il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, quasi che si trattasse di una questione di ordine pubblico?

E come mai un partito tradizionalmente attentissimo agli umori del mondo cattolico come il Pd (e che al governo ha ministri cattolici come Franceschini, e Boccia, senza dimenticare che Nicola Zingaretti – non tutti lo sanno – coltiva da tempo rapporti personali con i singoli vescovi) non ha provato a gestire in prima persona una vicenda così delicata?

Tanto più che nella infuocata riunione di maggioranza la richiesta di allentare il divieto era stata fatta propria con una certa veemenza da Teresa Bellanova. Come non rendersi conto del problema?

Ora Conte cercherà di innestare la retromarcia, magari grazie all’emendamento Ceccanti. Sarebbe un modo per sterilizzare la protesta di Salvini, con contorno di Meloni, pronti alla “mascherata” del Primo Maggio. Un “processo” al governo e agli scienziati, laici e comunisti: un inatteso ritorno a una bella polemica pre-moderna proprio mentre l’Italia incespica verso un futuro drammatico.

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