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Salvini, la pacchia è finita davvero. Ora la Lega crolla anche nei sondaggi

 

È finita la pacchia per il quasi ex ministro dell’interno Matteo Salvini, fragoroso protagonista di questi mesi di governo gialloverde e di questa estate di pance nude, di spiagge, di aperitivi in riva al mare e di fracasso rivenduto come autorità. L’uomo che si è sentito invincibile precipitevolissimevolmente cadde e ora si lecca le ferite fingendosi tradito nonostante sia il traditore. Lui che da sempre ha usato i sondaggi come manganello oggi deve assorbire il colpo di più del 5% perso in meno di un mese, il suo popolo sta cominciando a guardarsi intorno dopo la crisi di governo per delirio di onnipotenza e anche sui social (altra arma bianca di una propaganda sempre con la bava alla bocca) la Bestia del Capitano comincia a perdere colpi sotto le sferzate del presidente del consiglio Conte e dei grillini infuriati.

Matteo Salvini ha pensato di essere un grande stratega capace di fare diventare oro tutto ciò che toccava ma non ha tenuto conto del fatto che la propaganda e la politica siano due cosa diverse: se è vero che con la propaganda si può azzoppare l’avversario per rivendersi come alternativa rimane comunque il fatto che una volta raggiunto il potere, seduto nei posti di comando, non si può insistere nel randellare nemici più o meno immaginari come unico atto di governo: tocca amministrare, fare le riforme che rilancino i diversi settori, dimostrare un serietà e una compostezza istituzionale che permette di avere credibilità nazionale e internazionale, tocca fare funzionare le istituzioni poiché non basta indossarne i loghi sulle magliette. Ne abbiamo avuti tanti (e ahimè ne avremo ancora) di splendidi venditori di promesse che sono franati sotto la propria inaffidabilità e la propria incapacità. Non è stato il primo, non sarà l’ultimo.

Fare cadere un governo pensando che tutto l’arco parlamentare rimanga fermo a guardare senza nessuna reazione è uno sconsiderato errore da novellino bulletto: capitan Fracassa si era davvero illuso che con il suo 17% di elettori (perché sì, la politica funziona con gli elettori, mica con i sondaggi, e si fa con i parlamentari a disposizione) avrebbe potuto lui da solo andare a elezioni senza che nessuno muovesse un dito. Il che, se ci pensate bene, smonta anche una volta per tutte la pia illusione che Salvini sia un fine stratega. Accade sempre così dalle nostre parti: quando qualcuno perde si spertica a raccontarci che l’altro è uno scaltrissimo politico. E invece no: Salvini è stato Salvini in questi ultimi mesi per manifesta inferiorità dei suoi avversari e dei suoi alleati, ci vuole poco a sembrare un gigante in mezzo ai nani e il fatto che il Movimento 5 Stelle e il Pd stiano guadagnando consenso e si siano ripresi la scena semplicemente come conseguenza degli errori del leader leghista dimostra quanto poco basterebbe per sconfiggerlo.

Poi c’è la questione del ministero dell’Interno usato come continuo palco elettorale: il Capitano leghista non si è reso conto (e forse nemmeno dalle parti del Movimento 5 Stelle) che la ribalta del Viminale mette il turbo a chiunque sappia usarla con scaltrezza (non è stato così anche per Minniti?) e nonostante Salvini fingesse di essere in mezzo alla gente quella sua posizione gli ha permesso di recitare perfettamente la parte dell’uomo duro che brigava con la sicurezza nazionale. Sarà un caso (o forse no) che è bastato che inciampasse nella crisi di governo perché si aprisse un’inchiesta sulla nota vicenda della moto d’acqua usata dal figlio: ci vuole poco per cadere, già. Le foto di questi ultimi giorni di lui seduto alla scrivania del ministero (quella che ha lasciato sguarnita per mesi con il suo assenteismo presenzialista) sono soltanto la conferma che non la cornice istituzionale è il doping necessario alla sua comunicazione. E infatti ora ci si attacca come un bimbo alla gonna della madre.

Inoltre c’è anche la questione di partito: i malumori verso il segretario leghista sono rimasti sopiti per gli eclatanti risultati nei sondaggi ma si scorgono già le prime note di dissonanza che potrebbero diventare una slavina (Giorgetti in primis): la Lega, da sempre, è stato il partito del Nord e il Nord si è rotto le scatole di sentire parlare di migranti e di navi rimbalzate. Il Nord da sempre chiede autonomia finanziaria, snellimento della burocrazia del lavoro, abbassamento della pressione fiscale, riforme per fare ripartire l’economia: tutte promesse mancate di chi con i voti del Nord è diventato quello che è prima di mettersi a giocare a fare il piccolo nazionalista in perenne campagna elettorale.

Ora eccolo qua, il Salvini fanfarone che comincia a sgonfiarsi: pronto a chiedere umilmente scusa per tornare sui suoi passi e terribilmente preoccupato per un voto che rischia di allontanarsi. E fuori dal Viminale i bacioni non funzionano più.

 

 

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