Riportare ordine nelle periferie, ripulirle dai delinquenti con il Kaercher, smantellare gli accampamenti di clandestini a Calais, espellere chi non ha diritto di vivere nel Paese. Basterebbe un po’ di memoria storica per ricordare che questi erano slogan e propositi che fecero la fortuna di Nicolas Sarkozy, l’uomo della destra gaullista che voleva farla finita con il buonismo nazional popolare del presidente in carica, Chirac, e arginare i primi sintomi di ascesa del Front National.
Ma Sarkozy, l’amerikano, con la kappa, come fu soprannominato, un teorico della tolleranza zero in salsa francese, era anche l’uomo del liberismo in economia, della riforma dello Stato, della competitività internazionale, dei solidi agganci all’Europa tanto da rimediare la bocciatura del Trattato Costituzionale con il Trattato di Lisbona, forse il risultato migliore della sua presidenza. Poi vennero gli scandali, il colossale errore della guerra in Libia, le disinvolture con il lusso e le vacanze, il gossip sulle sue avventure amorose e infine la cocente sconfitta.
Forse una rilettura del personaggio Sarkozy, o meglio dei suoi discorsi e dei suoi programmi, al netto di difetti ed errori, sarebbe utile per chi, come Matteo Salvini, ha oggi il vento in poppa e si sente ormai il grande timoniere, confortato da un trenta per cento reale e non mediatico. Una rilettura che andrebbe dritta a cogliere la differenza fra capo popolo e leader, fra interesse elettorale e interesse generale, fra sogni e promesse da vendere al Paese un tanto al chilo e responsabile valutazione della collocazione internazionale ed europea dell’Italia.
Non si tratta di copiare chi peraltro è ormai uscito di scena senza avere fatto la storia, ma di fare tesoro delle parabole discendenti, di riflettere su un coerente e realistico programma di centro destra senza concessioni alla xenofobia, sulla necessità di metabolizzare gli slogan per la conquista del potere e tradurli in un progetto che seduca non soltanto la base e i cortigiani ma almeno la maggioranza degli italiani. Si tratta anche di assumere una statura, depurandosi da volgarità, linguaggi da bar, strizzate d’occhio a Casa Pound, relativismo o addirittura revisionismo della Storia nazionale, della Resistenza, del Fascismo.
Sarkozy fece l’elogio dei partigiani francesi, condannò duramente ogni forma di antisemitismo, non ebbe nessun imbarazzo a difendere la multiculturalità e la multietnicità della Repubblica, a nominare ministri di colore, a pregare sulla tomba di De Gaulle. Semplicemente aveva affermato il principio ( su cui la sinistra è sempre arrivata tardi) che sicurezza e ordine sono valori cui tengono prima di tutto i poveri, i ceti popolari, i lavoratori, insomma tutti coloro che sono più direttamente a contatto con il disagio delle periferie, l’immigrazione incontrollata, la devianza e la delinquenza.
Anzichè accompagnarsi con i sovranisti stranieri (una contraddizione in termini, essendo in collisione con gli interessi italiani) e inseguire il modello Le Pen, accentuando la divisione del Paese e assecondando l’estremismo non solo verbale, Salvini avrebbe un’occasione storica per diventare un vero leader. Il coraggio, diceva Manzoni, se uno non ce l’ha non se lo può dare. Salvini ne ha da vendere. Potrà darsi anche la cultura politica?
Massimo Nava, editorialista del Corriere della Sera, ha pubblicato “Sarkozy, il francese di ferro”, Einaudi 2007.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/05/30/salvini-lega-francia-europa-liberalismo/42342/