La Sanità italiana è ora nelle mani di Roberto Speranza, il neo ministro che ha ereditato il dicastero per quattordici mesi nelle mani di Giulia Grillo del Movimento 5 stelle. “Questo dovrà essere il governo della lotta alle disuguaglianze, a partire dalla possibilità per tutti di accedere a cure di qualità”, è stata la sua prima reazione alla notizia della fiducia incassata dall’Esecutivo Conte II. Per capire quale sarà la linea politica del deputato di Leu è importante capire da dove viene. Nato a Potenza, si è laureato alla Luiss in Scienze Politiche. Nel 2017, già parlamentare, abbandona il Partito Democratico insieme ad altri esponenti della minoranza, tra cui anche l’ex segretario Pier Luigi Bersani, a causa della distanza dalla linea portata avanti dal segretario Matteo Renzi. A pochi giorni dalla rottura con i dem, fonda il nuovo partito Articolo uno (di cui è attualmente segretario), formato da parlamentari fuoriusciti dal Pd e da Sinistra Italiana. Alle politiche del 4 marzo 2018 è stato rieletto nella circoscrizione Toscana tra le file di Leu.
“La qualità della sanità indica il livello di civiltà di una nazione”, ha dichiarato in una recentissima intervista al Corriere della Sera. “Dobbiamo garantire il diritto alla salute, indipendentemente dalla Regione in cui si vive e dalle condizioni economiche” e ancora: “Difenderò con tutte le energie l’universalità del sistema sanitario”. Questa ultima frase, ai non addetti ai lavori potrebbe non dire molto, ma per chi è un po’ addentro alle logiche della sanità, ha un significato ben preciso. Durante il precedente governo, quello Lega-M5s, la volontà leghista di attuare le Autonomie, aveva fatto paventare che si potesse mettere a rischio l’integrità del Sistema sanitario nazionale. Dai 5 stelle erano stati subito alzati gli scudi, spingendo poi l’alleato di governo a stralciare la sanità dal progetto delle autonomie. Il governatore lombardo Attilio Fontana dal Forum Ambrosetti di Cernobbio ha lanciato la sfida al governo appena insediato, chiedendo “poteri” sulla scuola, l’altra materia poi stralciata dal progetto gialloverde di Autonomie, e sopratutto sulla sanità. Gli ha subito risposto il ministro per gli Affari regionali, il dem Francesco Boccia: “Discutiamo, ma niente ultimatum”. La linea quindi sembra chiara nel segno di un sistema salute che sia tutt’uno e compatto, come il Paese stesso. Segno che, almeno in tema salute, saranno molti i punti di convergenza tra sinistra e grillini. Speranza ci ha tenuto a sottolineare la sua volontà di dialogare con il Movimento 5 stelle, perché quella tra gli alleati di governo non è “un’alleanza di un giorno o di una stagione eccezionale”, ma una strategia per dare una nuova prospettiva all’Italia. Addirittura ha lanciato l’idea di un’alleanza con M5s per le regionali.
Ancora non si conosce il programma preciso del suo mandato, ma tra le certezze c’è l’abolizione del superticket. Esso riguarderebbe il contributo fisso di dieci euro a ricetta sulle visite e gli esami ambulatoriali, misura introdotta formalmente nel 2007 dal governo Prodi, ma attuata da Silvio Berlusconi con la manovra di bilancio del 2011, che vedeva sommarsi il superticket ai 36 euro di quello regolare sulle diverse prestazioni sanitarie. Quanto al costo totale del superticket si attesterebbe attorno agli ottocento milioni di euro, ma secondo Liberi e Uguali, il partito di Speranza, che ha scritto un disegno di legge in materia, i mancati introiti per l’eliminazione ammonterebbero a solo 600 milioni. La relativa copertura, secondo il testo depositato da Leu, sarebbe possibile grazie alle “risorse già stanziate dalla legge di bilancio dal 2018, 60 milioni di euro annui nell’arco del triennio 2018, 2019 e 2020”, ma anche per le “maggiori entrate provenienti dall’abolizione della deduzione forfettaria dei canoni di locazione, che è pari al 35 per cento per le cosiddette dimore storiche e da cui si ricava un gettito accertato di 545 milioni di euro annui”.
Come dichiarato alla Stampa, Speranza vuole portare il finanziamento della sanità pubblica da 114,5 a 118 miliardi, non solo cancellando il già citato superticket, ma avviando un grande piano di assunzioni. A chi farà pagare il conto? A banche, fondi di investimento e assicurazioni. L’idea era già presente in un disegno di legge che aveva già presentato lo scorso anno e che prevede di limitare all’82% dall’attuale 100% la deducibilità degli interessi passivi per, appunto, banche, assicurazioni e fondi di investimento. Il neo ministro, in un’altra intervista, questa volta a Radio Capital, ha anche fatto accenno alla legge di bilancio, in cui si aspetta che l’aumento delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale sia reso possibile dalla rimodulazione del prelievo erariale su giochi e slot machine. Ma pare che ciò non sia di competenza del ministero della Salute. La proposta di Leu parlava di “fonte di copertura di copertura da cui deriva un gettito di 500 milionidi euro annui a decorrere dall’anno 2020 prevede che la percentuale del prelievo erariale unico sugli apparecchi di cui al-l’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n.773 del 1931, come rideterminata dall’articolo 6,comma 1, del decreto-legge n.50 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla leggen.96 del 2017, sia fissata in misura pari al 20 per cento dell’ammontare delle somme giocate, mentre oggi è fissata al 6 per cento“.
Arrivando ai vaccini, pare che il disegno di legge voluto dal Movimento 5 stelle e Giulia Grillo durante la stagione gialloverde, e rimasto incagliato all’inizio dell’iter legislativo parlamentare, resterà in un cassetto. Il cosiddetto “obbligo flessibile”, che avrebbe ammorbidito le regole attualmente in vigore della legge Lorenzin, sembra che verrà del tutto silenziato. Anche per marcare una differenza rispetto al governo fatto con Matteo Salvini e la Lega, che negli ultimi mesi aveva fatto sua la battaglia per togliere l’obbligatorietà vaccinale. La legge attualmente in vigore, che è 2017, afferma che tutti i bambini sotto i sei anni di età che non siano in regola con le vaccinazioni non possono entrare a scuola, mentre, per i bambini più grandi, sono previste sanzioni amministrative per i genitori che vanno da 100 a 500 euro. L’ipotesi è che il nuovo ministro lasci la legge vigente così com’è, magari facendo nel frattempo grandi campagne di comunicazione, anche da rivolgere ai no vax, per far capire che la vaccinazione non è un tema individuale, ma una questione di sicurezza collettiva.
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