C’è stato un tempo lontano, che presto probabilmente rimpiangeremo come una perduta età dell’oro, in cui da destra non si esitava ad accusare gli avversari, specialmente nell’Emilia rossa, delle peggiori nefandezze e dei peggiori crimini. Persino, letteralmente, di «mangiare i bambini» (l’origine sembra sia da attribuire ad alcuni episodi di cannibalismo verificatisi in Urss durante le terribili carestie degli anni venti). Ma era niente, tutto sommato, in confronto allo spettacolo andato in scena ieri a Bibbiano, dove Matteo Salvini è andato a chiudere la campagna elettorale, sotto un’immenso striscione con scritto: «Giù le mani dai bambini». Nel frattempo, il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, esprimeva su Twitter tutta la sua vicinanza al dimissionario capo politico dei cinquestelle («A @luigidimaio un abbraccio per una scelta difficile che rispettiamo…»). Quello stesso Luigi Di Maio che fino a tre mesi fa giurava in un video di non volersi mai e poi mai alleare «col partito che in Emilia Romagna toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock per venderseli». Che dire? Acqua passata.
Non per niente tutto è partito dalla solita inchiesta spettacolare – coerentemente intitolata come un romanzo di Dan Brown: «Angeli e Demoni» – divenuta un caso politico per la scelta di mettere agli arresti il sindaco del Pd. Decisione successivamente annullata dalla Cassazione per «inesistenza di concreti comportamenti» di inquinamento probatorio e mancanza di «elementi concreti» a suffragio del rischio di reiterazione dei reati. Ma figurarsi se simili dettagli potevano fermare Matteo Salvini, che appena due giorni fa citofonava a casa di un minorenne, davanti alle telecamere, chiedendogli in diretta social se fosse uno spacciatore, sulla base della denuncia di una vicina di casa.
Un micidiale miscuglio di farsa, tragedia e televisione, grande fratello orwelliano e grande fratello Mediaset, reso ancora più grottesco da quell’antica abitudine nazionale di nascondere violenza, prepotenza e sopraffazione dietro uno spesso strato di ridicolo. Una tragedia di Brecht interpretata dal Gabibbo. A dimostrazione di quanto il problema del giustizialismo, in Italia, non dipenda solo dai giustizialisti, che in fondo, si potrebbe dire, fanno la loro parte. La vera tragedia sono i garantisti. Garantisti per sé e giustizialisti per tutti gli altri, come Salvini. O garantisti per finta, come gli esponenti del Partito democratico che continuano a recitare la farsa della grande discussione sulla riforma della prescrizione voluta dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, ovviamente già entrata in vigore. Riforma con cui la prescrizione è praticamente abolita, in nome di un’azione giudiziaria considerata infallibile, e inarrestabile, e della richiesta di giustizia dei parenti delle vittime.
«Le chiedevo se lei non pensa ogni tanto anche agli innocenti che finiscono in carcere…», ha provato a domandare la giornalista di Repubblica Annalisa Cuzzocrea al ministro della Giustizia, ospite ieri sera di Otto e mezzo. «Cosa c’entrano gli innocenti che finiscono in carcere, scusi? Gli innocenti non finiscono in carcere», l’ha subito interrotta lui. Lui, cioè il ministro della Giustizia, che del concetto «gli innocenti non finiscono in carcere» era evidentemente così convinto che l’ha ripetuto due volte di seguito. Tre, se contiamo anche la domanda retorica iniziale. In compenso, quando la giornalista gli ha obiettato che «dal ‘92 al 2018 ventisettemila persone sono state risarcite dallo Stato perché erano finite in carcere, innocenti, quindi gli innocenti finiscono in carcere», Bonafede ha risposto: «Ah, okay. Quella è un’altra questione».
www.linkiesta.it