Può darsi che il cambiamento non si rifletta immediatamente nelle urne, ma bisogna essere proprio ciechi per non vedere che in Italia, stavolta sì, il vento sta cambiando. E sta andando proprio nella direzione diametralmente opposta a quella a cui pensava Virginia Raggi quando scandì la storica dichiarazione (anche perché, dove Raggi e soci governano, il vento porta con sé ben altre sensazioni).
Per la prima volta, con le sardine, è sceso in piazza e si è esteso rapidamente a tutta Italia un movimento apertamente ed esplicitamente antipopulista. Un’ispirazione che le manifestazioni pro-Tav di Torino e contro il razzismo di Milano e Roma avevano in qualche modo animato, ma che nessuno prima aveva così limpidamente definito nei suoi caratteri, nei suoi obiettivi e soprattutto nel suo bersaglio: il populismo, la politica dell’odio e del capro-espiatorio. Quella fondata sulle fake news, la disumanizzazione dell’altro, gli insulti e le insinuazioni a casaccio. La più grande risposta, prima ancora che a Matteo Salvini, alla filosofia del Vaffa Day (dalla quale Salvini, del resto, non ha fatto altro che copiare). Insomma, un immenso, gioioso, ironico Dopo-di-lei-Day.
Non vi basta, come segnale? Leggete allora cosa ha detto ieri Vasco Rossi – non so se è chiaro: Vasco Rossi – al Corriere della sera: «Da Obama a Trump è stata una bella caduta di… tutto: stile, tono e sostanza. Una esplosione di ignoranza, egoismo e qualunquismo che non mi aspettavo». Avete capito bene: «Qualunquismo». E ancora: «L’epocale fenomeno migratorio dal Terzo mondo verso i Paesi ricchi sta facendo saltare gli equilibri delle nostre fragili democrazie». E infine: «Mi dispiace che il nostro meraviglioso Paese sia così preda di rabbie e paure alimentate da politici irresponsabili in cerca di consenso e potere». È o non è questo un discorso magnifico, degno di una sardina provetta, anzi, del re di tutte le sardine? Che aspettano a mandargli la tessera onoraria del movimento?
Terza prova del cambiamento in atto (ma anche di quale sia il vero problema che ne rende l’esito tutt’altro che scontato). Domenica, sempre sul Corriere, esce un sondaggio dal quale si scopre che, nonostante ogni giorno qualche sapientone ci spieghi e ci rispieghi come lo ius culturae sia una battaglia persa, e il solo nominarlo faccia perdere voti, sorpresa: è approvato dalla maggioranza assoluta degli italiani, 53 a 39. Sembrerebbe una notizia, no? Com’era la storiella che s’insegnava nelle scuole di giornalismo, l’uomo che morde il cane invece del contrario, giusto? Fatto sta che il Corriere titola su – e rilancia sui social network – un’altra domanda dello stesso sondaggio, proprio quella dalla risposta più scontata: per il 56 per cento «non è una priorità». In altre parole, o la maggioranza degli italiani dichiara categoricamente di non dormirci proprio la notte, o non c’è niente da fare.
Il punto è che non è vero affatto che lo ius culturae farebbe perdere consensi. È il parlarne ossessivamente senza farlo mai – come nella geniale campagna elettorale del Pd nel 2018 – che li fa perdere di sicuro: dai favorevoli perché li hai ingannati, dai contrari perché li hai spaventati. Ma è altrettanto ovvio che dal giorno dopo l’approvazione dello ius culturae neanche Casapound ne parlerebbe più, esattamente come è accaduto con le unioni civili, motivo di scontri laceranti e mediazioni infinite all’interno del centrosinistra per più di dieci anni, con tutto quel ridicolo balletto di formule arzigogolate – ricordate? – «Pacs», «Dico», «Didore». Ebbene, dal giorno dopo l’approvazione delle Unioni civili, nel 2016, chi ha mai più sentito parlare della questione? Da allora, quante interviste a Paola Binetti vi è capitato di leggere, ascoltare o anche solo intravedere?
Il motivo non è poi così difficile da capire. La mobilitazione fondata sulla paura irrazionale di qualcosa che non esiste — che si tratti dell’invasione delle coppie gay o di quella dei migranti — funziona fino a quando la minaccia è un oggetto misterioso e lontano, dai contorni vaghi, che ciascuno può riempire con i propri timori e le proprie idiosincrasie. Ma quando assume i tratti inoffensivi della quotidianità, e tutti possono verificare, come nel caso delle unioni civili, che a nessun eterosessuale è stato negato il diritto di sposarsi con chi volesse, è chiaro che le campagne allarmistiche perdono forza.
Ad acquistare forza in questi giorni è invece, e grazie al cielo, la spinta contraria. È la meravigliosa spinta antipopulista, nonviolenta, aperta e colorata delle sardine, e sarebbe un crimine sprecarla. E quale risposta migliore, più concreta, più esatta si potrebbe mai dare a quei giovani, quale risposta migliore potrebbe dar loro la sinistra – la sinistra che oggi è al governo, anche se non sempre se ne ricorda – di una legge sullo ius culturae?
Del resto, non è quello che aveva detto Nicola Zingaretti proprio dal palco di Bologna, e giusto all’indomani della prima manifestazione delle sardine, dopo averla tanto lodata? Non aveva forse detto, con enfasi: «È ovvio che ci batteremo per lo ius culturae»? O era solo una formula retorica, buttata lì per evitare di mettere ai voti le proposte presentate in tal senso dalla minoranza, vale a dire per fare l’esatto contrario, e cioè, ancora una volta, assolutamente niente?
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