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Alla lunga lista di promesse/proposte/desiderata che già compone il menù della prossima manovra da 45 miliardi si iscrive anche la scuola. Non tanto e non solo per la doppia ondata di concorsi da 70mila cattedre, che arriverà entro l’autunno e che però è finanziata, quanto per l’auspicato rinnovo del contratto. Che dovrebbe garantire agli oltre 800mila insegnanti italiani un «aumento a tre cifre». Con un costo complessivo di 2,2 miliardi. Di cui 1,4 ancora da reperire. Una partita tutt’altro che semplice nonostante l’innalzamento dello stipendio dei prof sia una dei pochi temi non divisivi tra le due anime della maggioranza gialloverde.
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Punto di partenza: l’intesa raggiunta a fine aprile con i sindacati
Con il Ccnl 2016-2018, rinnovato da Valeria Fedeli e scaduto lo scorso
dicembre, sono stati garantiti ai docenti aumenti retributivi medi di 96 euro lordi al mese (si è andati da un minimo di 80,40 euro fino a un massimo di 110 euro, in ragione di anzianità e grado di scuola dove si presta servizio). Soprattutto per le qualifiche iniziali, poi, è stato previsto il “paracadute” dell’elemento perequativo, che vale in media 11,50 euro. Questo emolumento era stato finanziato fino a dicembre 2018, ma con la scorsa legge di bilancio è stato riconfermato, grazie anche al taglio dei fondi per l’alternanza scuola lavoro.
Ora tocca al nuovo contratto collettivo 2019-2021. Le basi di partenza sono state poste dell’intesa di fine aprile tra governo e sindacati della scuola. In quell’accordo, l’esecutivo si è impegnato a garantire un rinnovo «a tre cifre» – il copyright è del ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti – attraverso «il recupero graduale nel triennio del potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori».
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