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Se Conte cade, la partita è aperta (sempre che torni in campo la politica)

 

È verosimile che Sergio Mattarella stia vivendo questo terribile periodo con un duplice ansia interiore: quella di mantenere la fermezza nella guida generale del Paese insieme agli interrogativi su ciò che potrà avvenire. Sta qui in fondo la sempre incombente contraddizione fra una scelta da compiere oggi e le sue conseguenze nel domani.

Il nostro Presidente della Repubblica conosce la politica e le sue regole meglio di tutti. Ha idee chiare in testa ma, come i migliori politici che vengono dalla scuola del cattolicesimo democratico, è anche un uomo che coltiva il dubbio e che ha una precisa idea sul limite della politica, considerata non un gioco d’abilità ma una missione umana, e perciò inevitabilmente tormentata.

Ecco perché noi pensiamo che il capo dello Stato osservi l’evoluzione della situazione italiana con spirito aperto e senza rigidità politiciste, e lo scriviamo senza avere altra informazione diretta o indiretta (non siamo “quirinalisti”) che non sia una certa conoscenza di quella cultura politica. Che è una cultura strutturata su tempi ben più lunghi di quelli di un clic o di un talk show, una cultura pronta a far maturare il nuovo più che a imporlo con forzature. 

Se è giusta questa interpretazione “morotea”, tutto è aperto; e, per essere più concreti, ipotizziamo qui che Mattarella non abbia stabilito una road map una volta per tutte, né blindando aprioristicamente Conte, né disegnando scenari diversi. 

E dunque, il messaggio abbastanza esplicito anche se informale che giunge da giorni dal Colle attraverso i giornali – se Conte cade si va alle urne – alla luce di ciò che si è detto fin qui, appare troppo rigido.

Si tratta certo di un monito politicamente forte per bloccare manovre poco definite ma che pare “scartare” l’ipotesi di nuova maggioranza che in teoria è sempre possibile: lo deciderà, semmai, il Parlamento. 

Ed è appunto compito dei partiti, nel caso, portare al Quirinale una ipotesi di governo con nomi, cognomi e soprattutto numeri parlamentari. Una “maggioranza Ursula” è possibile: ma è matura? Nessuno, nemmeno Mattarella, è in grado di dirlo. Tantomeno di prevedere se alla sua guida vi sarà ancora Giuseppe Conte per un improbabile “ter”.

Quanto poi alle elezioni anticipate, in estate o subito dopo, si tratta di un’ipotesi che deve fare i conti con l’evoluzione della pandemia: se, Dio non voglia, ci dovessimo trovare fra un po’ con una nuova ondata o comunque con una persistente situazione di divieti, ecco che lo stesso diritto di voto ne verrebbe limitato, per evidenti ragioni, senza contare i rischi di assembramenti e di moltiplicazione di occasioni di contagio.

E non dimenticando che un diritto fondamentale dei cittadini è quello di essere informati sulle proposte dei partiti, garantendo dunque una normale campagna elettorale, con comizi e riunioni però impossibili a tenersi in una situazione eccezionale.

Non è dunque detto che portare il Paese alle urne sia davvero la strada più lineare. La “pistola” del Presidente non è scarica ma nemmeno pronta all’uso, ci pare. E un ulteriore rovello potrebbe sorgere in Mattarella ove la gravità del quadro economico e sociale dovesse andare di pari passo con una crescente debolezza del governo e a quel punto diventare propellente di uno scontento di massa.

Potrebbe scaturire, di qui a non molto, una domanda di un governo forse anche irrobustita da pulsioni antipolitiche. Alla quale bisognerebbe fornire una risposta politica, di grande politica. Qui non si sta parlando di arzigogoli di palazzo – a cui certamente qualcuno lavora – ma di una novità all’altezza di una situazione sconosciuta e paurosa. 

L’ironia sul “governo degli ottimati” gioca sul fatto che effettivamente gli attuali gruppi dirigenti dei partiti non offrono alcuna garanzia che altri ministri farebbero meglio di quelli attuali, ma non sta scritto da nessuna parte che in questo Paese non esistano competenze specifiche e professionalità indiscusse per ora al di fuori fuori dalla politica politicante: e non c’è solo Mario Draghi in questo discorso, sono molte le persone in grado di fare i ministri e i sottosegretari con competenza e senso dello Stato.

Si dirà che al momento è una prospettiva nebulosa. E infatti il presidente della Repubblica – ci pare di capire – non ha nessuna intenzione di forzare, né “fa il tifo” per questo o per quello e tantomeno si presterebbe a giocare una mano di poker fra i leader dei partiti. Al limite, sarebbe un’ultima spiaggia: perché il capo dello Stato dovrebbe escluderla?

Ma in questo momento la preoccupazione del Presidente è legata al qui e ora del governo Conte. Non è difficile indovinare il disappunto di Mattarella ad ogni slabbratura del dibattito politico (vedi alla voce Mes) o i dubbi sulla capacità dell’esecutivo di mantenere le promesse in fatto di assistenza e aiuti: ci sono le risorse sufficienti? Ma un “moroteo” come Sergio Mattarella (anche se la sua corrente non era quella) vigila, osserva, consiglia, aspetta. Sono i tormenti di uno statista che ci sembra di indovinare. Con i dubbi nell’animo, e lo sguardo al domani.

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