Titolo dell’intervista di Matteo Renzi al Corriere della sera: «Al Pd dico: niente elezioni o regaliamo il Colle alla Lega». Titolo dell’intervista di Nicola Zingaretti a Repubblica: «Il governo trovi l’anima o noi e Di Maio affonderemo insieme». E questo nella sola giornata di ieri. Ma sono mesi, praticamente da quando il governo giallorosso è nato, che il messaggio dei principali partiti del centrosinistra agli elettori, quali che siano i provvedimenti in discussione, non è altro che: o ti mangi questa minestra o ti becchi Salvini. Il principale se non unico argomento con cui Zingaretti replica a qualsiasi obiezione è che criticare il Pd significa fare un favore a Salvini. Il motivo per cui fanno quello che fanno e non fanno quello che non fanno è sempre lo stesso: perché sennò vince Salvini. Essendo in questo momento Matteo Salvini il politico più popolare d’Italia, la scelta appare singolare, ma a suo modo illuminante: quasi che i consensi di cui il centrodestra gode, potenzialmente maggioritari, fossero dati sin d’ora per persi, e si trattasse solo di dividersi accanitamente gli avanzi tra le diverse forze della futura opposizione, che sembra già comportarsi come tale a tutti gli effetti.
La propaganda di quelle che dovrebbero essere le principali forze della maggioranza assomiglia infatti sempre più a un lamento funebre, proveniente da un coro che a ogni proposta, domanda, obiezione, scuote la testa e si batte il petto, intonando il ritornello: «Così vince Salvini!».
Il penoso balletto sullo ius soli è solo l’ultimo esempio di questa dinamica autodistruttiva, con il segretario che dal palco grida che «è ovvio che lo faremo», parlando peraltro di «ius culturae e ius soli» (massì, si sarà detto, fa’ vedere che abbondiamo), salvo poi far precisare che non intende affatto «imporre» le sue idee, e dover chiarire lui stesso, nella succitata intervista a Repubblica: «Non drammatizzerei questo tema. Se oggi non ci sono le condizioni, non è detto che non si realizzino». Massì, perché drammatizzare: che fretta c’è? Salvo poi passare le giornate a parlare del movimento delle «sardine» e di quanto sono belli questi giovani che alla sinistra chiedono coraggio, valori, radicalità. Salvo poi ricominciare da capo, sullo ius soli come su Ilva: perché anche qui, si capisce, è ovvio che il Pd vuole rimettere lo scudo penale, come chiedono tutti in ginocchio, dai sindacati alla Confindustria, cosa vi credete. E così sui decreti sicurezza (un’altra di quelle cose che, parola di Zingaretti, è ovvio che il Pd vuole superare). E così su reddito di cittadinanza, quota cento, taglio dei parlamentari e su tutti gli altri punti del famigerato contratto gialloverde, che l’attuale governo sta rispettando assai più scrupolosamente del precedente. E che il Pd, di fatto, continua a non volerne sapere di toccare nemmeno con un fiore. E sapete perché? Ma è ovvio anche questo: perché «così vince Salvini!».
Il problema è che ripetere una simile giustificazione, nel momento stesso in cui si confermano tutti i provvedimenti e persino i peggiori comportamenti di Salvini (come le navi cariche di naufraghi lasciate a largo per settimane), denota un tasso di ipocrisia molto superiore alla media, già alta, della politica italiana, e suscita di conseguenza una certa irritazione anche nell’elettore meglio disposto. Ma prima di tutto suscita in lui un incoercibile, incontenibile, insopprimibile desiderio di votare Salvini.
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