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Se proprio volete fare la guerra a Renzi, almeno fatela bene

 

Qualunque cosa si pensi di Matteo Renzi e del suo modo di ritagliarsi uno spazio politico all’interno della maggioranza, è evidente che da qualche tempo la dinamica interna al governo e ai partiti che lo sostengono è tornata al classico Renzi contro tutti: con il leader di Italia Viva a incalzare gli alleati ora sulle tasse ora sulle pensioni, e con gli altri, a cominciare dal Pd, a ripetere che così non si fa, che in questo modo non si può andare avanti, che al governo non si sta insieme per litigare.

Intendiamoci, la politica è un gioco che ha come obiettivo la conquista del consenso e presuppone di conseguenza una certa capacità di non inimicarsi il prossimo. Capacità di cui fa parte la cortese ipocrisia di accampare sempre tutt’altre motivazioni alla base di quello che si dice e si fa – il bene del paese, la salvezza delle istituzioni, l’equilibrio dei conti – e mai una sola volta il semplice desiderio di vincere le elezioni. A suo modo, è anche una forma di buona educazione, la stessa che impone all’ospite di trovare sempre una scusa dignitosa per il suo umano desiderio di andarsene a dormire (il molto lavoro da finire, il terribile mal di testa, l’ansia per la mamma ammalata), dopo avere trovato immancabilmente deliziosa la cucina dei padroni di casa e semplicemente irresistibili le battute di spirito dei loro figli seienni. Ma come tutte le forme di cortesia, è un’ipocrisia di cui sarebbe bene non abusare. È ovvio che in un governo di coalizione, cioè in qualsiasi governo di un sistema non bipartitico, i diversi partiti che lo compongono pensino anzitutto a come mantenere o allargare i propri consensi alle successive elezioni.

La salvezza del paese e gli interessi delle future generazioni, proprio come il mal di testa, sono una giustificazione che è lecito utilizzare una volta nell’arco di una legislatura. Se diventa un’abitudine, o addirittura un tic linguistico-politico per giustificare qualunque cosa, dalla necessità di formare un governo per salvare gli italiani dalla deriva autoritaria alla tassa sulle bibite zuccherate per salvarli dall’obesità, è chiaro che il gioco non funziona più. E funziona ancor meno se tali decisioni, pur prese solo ed esclusivamente per la salvezza del paese, devono essere spesso riconsiderate, per non dir proprio rimangiate fino all’ultimo boccone.

In nome del superiore interesse del paese, per capirci, può essere giusto che il segretario del Pd dica di no al governo con i cinquestelle, o anche di no e poi di sì purché non sia di nuovo Giuseppe Conte il presidente del Consiglio, o anche di no e poi di sì purché non sia Conte il presidente del Consiglio e poi ancora di sì anche con Conte presidente del Consiglio: scagli la prima pietra chi non si è mai trovato in una situazione analoga, costretto a scegliere tra un’infinita serie di mali di cui era difficilissimo individuare il minore. Ma dire no a Conte premier quando Renzi dice di sì e poi, quando è Renzi ad attaccarlo, dire non solo Conte o morte fino alla fine della legislatura, ma addirittura Conte candidato del centrosinistra in caso di elezioni anticipate, ecco, forse non è questa la strategia più efficace per riguadagnare i consensi perduti, e nemmeno per fare la guerra a Renzi. E lo stesso discorso vale per la tassa sulla plastica, scelta fondamentale per la salvezza del paese, del pianeta e delle nuove generazioni finché è Renzi a dirne male; scelta che può essere rivista e rimodulata appena poche ore dopo, quando è il presidente dell’Emilia Romagna a far notare l’impatto che avrebbe sull’economia della sua regione, per giunta in piena campagna elettorale.

Non voglio discutere qui l’opportunità o meno di impiegare tante energie nel fare la guerra a Renzi. Dico solo che, volendola proprio fare, la si potrebbe fare meglio. Anzitutto, non ritagliandosi, all’interno della maggioranza, il ruolo della mamma che ricorda a tutti che bisogna fare i compiti e andare a letto presto, invece di litigare su chi potrà giocare fino a tardi ad abbassare le tasse. Certo, per uscire dalla classica posa del “leader sacrificale” – quello che non lo fa mai per piacer suo, ma per far piacere all’interesse del paese – occorre anche un minimo di coraggio e volontà di rischiare, e soprattutto occorre avere in testa almeno un paio di idee e principi per i quali rischiare l’osso del collo abbia un senso. Esempio pratico: fosse stato il Pd a dare battaglia per togliere di mezzo reddito di cittadinanza e quota cento, e destinare ogni risorsa disponibile – dico per dire – a una vera e massiccia riduzione del cuneo fiscale, o magari alla concretizzazione della promessa mai mantenuta da Renzi di estendere gli 80 euro anche a pensionati, partite iva e incapienti, cosa avrebbe potuto rispondere il detestato rivale di Rignano? Ma se il ruolo del Pd è solo quello di ripetere a tutti, qualunque cosa dicano, che così non si fa e che così vince Salvini, con il tono lagnoso del bambino più piccolo che denuncia le angherie del fratello maggiore, tutto quello che otterrà sarà, nella migliore delle ipotesi, un’ondata di simpatia nei confronti di Renzi. E nella peggiore, nei confronti di Salvini.

 

 

 

 

 

 

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