La scommessa che molti fanno, in ambienti PD, è che il M5S sia un esercito in rotta, una massa di fantasmi più interessati alla poltrona fino all’ultimo giorno di legislatura che a tenere fede all’agenda di Casaleggio. Ma già la tangente ideologica che Di Maio e sodali chiedono ai nuovi possibili compagni di viaggio (il taglio dei parlamentari sic et sempliciter, senza un serio ridisegno dell’architettura costituzionale) mostra il rischio della scommessa PD: Il M5S accetta il governo con il PD per rilegittimarsi e divorarlo, non per farsi divorare.
L’esito delle opposte ambizioni è il rischio della palude, della paralisi o del mezzo e mezzo: mezzo salario minimo e mezzo no, un tagliando al reddito di cittadinanza ma teniamocelo così, un po’ di deficit e qualche detrazione fiscale in meno per finanziare il blocco dell’Iva. Di tutto un po’, cioè niente, perché è impossibile fare sintesi tra Sibilia e Padoan, tra Taverna e Gentiloni, tra Paragone e Cuperlo. Un semplice arrocco, difensivo e confuso, non solo non danneggerà Salvini, ma lo aiuterà (fin dalle prossime elezioni regionali) e radicalizzerà le sue posizioni.
Eppure l’Italia – con la sua crescita zero, la natalità stagnante, il deficit infrastrutturale, la deindustrializzazione, le esigenze di innovazione economica e di modernizzazione sociale, le emergenze ambientali e il governo dei fenomeni migratori – ha bisogno di ricette coraggiose e lungimiranti, non di soluzioni omeopatiche né di propaganda a buon mercato. Le ricette che servono all’Italia riguardano essenzialmente due esigenze: uno, rendere l’Italia nuovamente attraente per gli investitori del pianeta, perché si riprenda a generare impresa e lavoro; due, rendere sostenibili gli equilibri finanziari, sociali, demografici e ambientali del Paese. Esigenze difficilmente conciliabili con la visione ostile al lavoro, all’industria e agli investimenti che il M5S ha mostrato fin dalla sua nascita.
In questo scenario a tinte fosche, quale può essere il ruolo dei liberali e degli europeisti? Quello di non accettare compromessi al ribasso.
Non possiamo unirci acriticamente a un governo purchessia, più interessato alla durata della legislatura in quanto tale che ad aggredire i mali dell’economia e della società italiana. Il nostro ruolo dovrà essere quello di chi proporrà idee e proposte concrete, criticherà l’immobilismo e offrirà un’alternativa. Un’alternativa costruttiva e possibile, un’opzione futura per quando (si spera) la politica italiana ritroverà una fisiologia e supererà la stagione del becero populismo che ha contagiato tanti.
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