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Sinistra, sveglia: è il momento di soluzioni radicali (anche per il Pd)

Alla vera e propria crisi della democrazia liberale che ha scosso il mondo nell’ultimo decennio, la sinistra internazionale ha cercato di rispondere riscoprendo il fascino discreto della radicalità. Qualche mese fa salutavamo con favore la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti di Bernie Sanders riconoscendone non tanto la portata di novità, ma la possibilità di rimettere al centro del dibattito temi di uguaglianza e giustizia sociale indicando in questa battaglia il ritorno di una sinistra che si ricorda come si fa (e, al tempo stesso, accende l’entusiasmo dei più giovani attorno a parole d’ordine e modelli da inseguire che mai avevano sentito perché cresciuti nel mondo creato dall’ideologia del there is no alternative). Qualche giorno fa, invece, l’esperto di comunicazione politica Dino Amenduni analizzava i primi momenti della campagna elettorale italiana per le elezioni europee, indicando nei temi internazionali e nella grande battaglia per l’ambiente i punti forti su cui dovrebbe puntare il Partito Democratico per guadagnarsi uno spazio nel dibattito tra Lega e Movimento 5 Stelle. Spazio che, in questo momento, sembra non avere (là dove i sondaggi attestando il nuovo Pd a traino Zingaretti sempre sul 18-19%, fonte Pagnoncelli sul Corriere della Sera).

Ricostruire sulle macerie non è un lavoro facile, ovviamente. Il disastro del voto delle politiche 2018 è stato così pesante non solo per la circostanza specifica, ma perché è stato un meteorite che ha colpito uno spazio già vuoto: in moltissimi hanno definito il Pd un partito mai nato, che è sempre vissuto più nelle cabine di regia della politica diventata comunicazione che nell’elaborazione di un sistema di riferimento contemporaneo capace di attutire anche i colpi più duri. Banalmente, al Pd, manca un orizzonte verso cui tendere. Un partito vuoto che forse ha fatto il suo tempo, si dirà. Ma è anche vero che in questo momento resta l’unico corpo capace di attirare a sé quei diversi milioni di voti capaci di essere “argine” ai nazionalpopulismi. C’è anche una domanda da parte di persone che non vogliono morire salviniani e grillini. Resta solo da capire come “rispondere” a queste domande.

In Qualcosa di sinistra (Feltrinelli) il filosofo Salvatore Veca ragiona sulla necessità di costruire una nuova agenda politica progressista partendo dalle radici. Il suo è un discorso filosofico, appunto, che pone le sue fondamenta nella crisi della democrazia liberale. Ma l’idea di fondo è rimettere al centro del discorso della sinistra l’idea di uguaglianza e libertà sociale volta all’emancipazione di ogni individuo dentro una società aperta, che non ha paura della verità e non sia più codarda verso le Grandi Sfide del nostro tempo (ambiente, automazione, migrazioni). Le domande della “gente” attorno alle quali si giocano le elezioni sono sempre quelle: lavoro, sicurezza, futuro. Parole cui la sinistra — e il centrosinistra — non ha saputo rispondere adducendo a una complessità da dover considerare (spesso per far passare e fare proprie politiche di destra), mentre la destra vera — da Berlusconi a Salvini — non ha mai perso troppo tempo nell’analisi proponendo soluzioni. O meglio, “percezione” di soluzioni. Ma nella politica spettacolare sappiamo ormai benissimo che dire di fare una cosa è più importante che fare quella cosa. Che fare, quindi?

L’Europa e l’ambiente sono due temi fondamentali. Amenduni ha ragione: lo spazio va cercato lì. Solo bisogna rendere fisiche le questioni. Prendiamo ad esempio l’Europa, fino ad ora è stata vista come una entità astratta, una sorta di Grande Male Oscuro che non si vede, che agisce attraverso burocrati grigi e cattivissimi, e ti dice tutto quello che non si può fare. Lì la sfida è politica: un Pd forte mette al centro “quello che l’Europa può fare per te” in termini concreti di crescita e sviluppo, ma lo fa perché capace di orientare tutto il ragionamento del Partito Socialista Europeo (la famiglia dei partiti cosiddetti progressisti, altra grande assente di questi anni di crisi del progressismo internazionale). Parlare di Europa in quanto tale non funziona più: il sogno è finito. Dire che “siamo europei” non vuol dire nulla. L’Europa deve essere il luogo in cui l’Italia torna a crescere per far stare meglio le persone. Un’Europa che propone programmi di welfare condiviso, che propone una alternativa al Reddito di Cittadinanza, con un programma di inclusione più esteso e più “responsabilizzante” verso il cittadino. Un’Europa che non si preoccupa solo di tagliare e puntare il dito sulle regole di bilancio, ma favorisce processi di investimento a lungo termine. E se non lo fa modificando i trattati, lo può fare con scelte politiche che si decidono nell’ampio alveo della famiglia dei socialisti europei.

Se Salvini propone uno stato securitario dove tutti possono potenzialmente sparare e avere ragione, la sinistra deve mettere al centro una sicurezza sociale in cui nessuno resta indietro perché si lavora per rendere efficienti i servizi fondamentali come la scuola e la sanità, l’integrazione e l’occupazione. Se Salvini propone Quota 100 e il Movimento 5 Stelle ha come misura di contrasto alla povertà il reddito di cittadinanza, la sinistra deve lavorare per una crescita atta non all’incremento del PIL ma all’incremento della felicità con stipendi più alti (del resto i nostri stipendi crescono meno rispetto al resto d’Europa da sempre, ci sta che poi la gente si arrabbi) e la certezza che una persona che perde il lavoro non esce dal consesso civile e sociale mentre per anni abbiamo abbracciato l’idea individualista per cui “non c’è posto per i secondi classificati”. Se il futuro dei nazionalpopulismi è fatto di confini e paura, la sinistra deve avere forte e chiara l’idea che i vantaggi di una società aperta e di un’Europa forte sullo scacchiere internazionale (foss’anche solo per proporre tassazioni ai giganti delle big-tech per creare quelle famose misure di redistribuzione sociale di cui parlavamo) sono di più di quelli che porterebbe il ritorno agli stati nazione e alle piccole patrie. Inoltre, solo in un contesto di unità transnazionale è possibile dare risposta alle domande dei tantissimi ragazzi che stanno riempiendo le piazze di tutto il mondo sull’esempio di Greta Thunberg dicendo ai governanti che l’ambiente è il tema, e che il nostro futuro è a rischio. Non è più il tempo di soluzioni individuali.

Il Pd (e diciamo Pd perché oggi è quello che abbiamo: da dopo le europee si vedrà) ha davanti una sfida enorme. Costruire una cornice dentro cui muoversi resta fondamentale. È il pensiero politico a determinare scelte politiche. È il pensiero politico a smuovere l’entusiasmo dei cittadini. È il pensiero politico a dare agli elettori indecisi (che sono tantissimi, ed è lì il vero bacino cui attingere piuttosto che gli ex-elettori di sinistra che ormai votano M5S) la sensazione di star votando un’alternativa. È finito il tempo delle politiche inevitabili. È il tempo di politiche coraggiose e radicali. È finito il tempo di costruire un partito maggioritario con l’obiettivo di piacere a tutti. È il tempo di costruire un partito che piace a chi crede in una società diversa da quella che è stata costruita negli ultimi anni. Nel momento in cui niente sembra più possibile, tutto può potenzialmente accadere. È l’unico modo per tornare a essere rilevanti. Essere alternativa. È una questione politica, direbbe qualcuno: c’è la volontà?

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/04/22/sinistra-europee-pd-zingaretti/41898/

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