Chiede di andare subito alle elezioni, dice di non essere attaccato alla poltrona e pretende che i parlamentari votino il prima possibile la sfiducia al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma Matteo Salvini non fa l’unica mossa che potrebbe accelerare il ritorno alle urne: dimettersi. Il leader della Lega rimane lì al Viminale, come se nulla fosse. E non ha intenzione di schiodarsi dalla poltrona di ministro dell’Interno. «Non ritiro i ministri» ha detto ieri ai giornalisti prima di entrare in Senato. E invece di mandare un segnale forte al presidente della Repubblica ha proposto di appoggiare il taglio di 345 parlamentari voluto dal Movimento 5 Stelle, ovvero l’unica cosa che potrebbe allungare la vita di questo governo. Il leader della Lega però pretende di sciogliere le Camere subito dopo il voto per ridisegnare i collegi e scrivere la nuova legge elettorale nella prossima legislatura. Tradotto: a fine ottobre gli italiani voterebbero per eleggere 630 deputati e 315 senatori, come sempre, mentre dal 2023 entrerebbe in vigore il taglio. Una cavillo istituzionale praticabile in teoria ma impossibile in pratica perché il Movimento Cinque Stelle ha già detto che vuole il ritiro della sfiducia a Conte prima dell’eventuale voto.
L’azzardo fallito di Salvini tradisce il suo vero obiettivo: andare con questo Governo al voto per gestire le elezioni e continuare la campagna elettorale permanente da una posizione di prestigio. Ecco perché dopo sei giorni non ha fatto neanche dimettere un ministro leghista. È più facile fare due, tre comizi al giorno in ogni minuscolo borgo d’Italia se a pagare le trasferte sono i fondi del ministero dell’Interno. Sarebbe impegnativo andare lungo tutta la penisola con i soldi della Lega, specie dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato la confisca dei 49 milioni di euro di rimborsi elettorali usati per spese personali dall’ex segretario Umberto Bossi. Ogni sei mesi la Lega dovrà staccare un assegno da centomila euro per i prossimi 80 anni. Sarebbe scriteriato usare quel poco che resta dei fondi della Lega per finanziare una campagna elettorale borgo per borgo come quella che abbiamo visto andare in scena questi 14 mesi. Sarà una casualità ma la sentenza della Cassazione c’è stata il 7 agosto, il giorno dopo Salvini ha aperto la crisi di governo. Coincidenze?
Il leader della Lega si è mostrato spavaldo ieri in Senato ma la sensazione è che abbia paura di dimettersi e lasciare carta bianca a Conte che potrebbe gestire a interim tutti i dicasteri leghisti. Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova. E ricordiamo che il 20 agosto non è prevista alcuna mozione di sfiducia contro il presidente del Consiglio che dovrà riferire qualcosa al Senato. Dopo l’apertura di Matteo Renzi a un governo istituzionale, Salvini non ha più la certezza che questo governo dimissionario vada al voto e teme di perdere la visibilità che garantisce il doppio ruolo di vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno. Finora ogni dichiarazione di Salvini ha avuto una cassa di risonanza rilevante. I mass media italiani ossessionati dalle parole dei leader di governo hanno riportato ogni suo tweet, post o diretta Facebook. Che fosse una nave Ong diretta verso le coste italiane, l’approvazione di un decreto o la demolizione di un campo rom, Salvini ha usato il suo ruolo per dettare l’agenda politica.
Se tornasse un semplice senatore, il leader della Lega diventerebbe un candidato come tutti gli altri anche se il più importante tra quelli in campo. La par condicio lo costringerebbe ad avere lo stesso minutaggio dei suoi avversari. Un nuovo presidente del Consiglio e un nuovo ministro dell’Interno avrebbero i riflettori su di loro ogni giorno. Per non parlare dello stipendio dell’ufficio di comunicazione di Salvini. Secondo L’Espresso i cittadini italiani con le loro tasse pagano 314mila euro all’anno di stipendio ai membri del team social del ministro dell’Interno. Più o meno mille euro al giorno. Dai 65mila euro all’anno per Luca Morisi, il consigliere strategico della comunicazione di Salvini, agli oltre 40mila euro lordi per i dipendenti che gestiscono le pagine del leader della Lega sui social network. Siamo sicuri che tutti loro saranno disposti per due mesi a stare senza stipendio in nome della causa sovranista, ma se si andasse a votare nel 2020? Sarebbe un bel grattacapo per le tasche di Salvini.
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