Centocinquantamila voti di differenza. Stefano Bonaccini si tiene l’Emilia Romagna non per un soffio, come era stato pronosticato, ma con un vantaggio piuttosto consistente, quasi l’8 per cento: (51,4 per cento contro 43,7 per cento). Ad aiutarlo è il crollo del Movimento Cinque Stelle, che nasconde probabilmente una scelta di desistenza, e dall’altra parte le percentuali da estinzione di Forza Italia, l’anello fragile della coalizione di Centrodestra col suo 2,6 per cento, poco più di 50mila voti. Visto l’esito delle urne, sembra quasi incredibile che per mesi la politica italiana si sia arrovellata intorno alla possibile “spallata emiliana“, dandola quasi per certa e paralizzando ogni attività nell’attesa di quel responso. Eppure è successo, a dimostrazione della fragilità politica e psicologica dell’area progressista che da molto tempo si sente rassegnata al declino e alla sconfitta, convinta com’è che il sovranismo di Matteo Salvini sia imbattibile nel Paese e possa essere contrastato solo con azioni di palazzo.
L’Emilia dimostra che il salvinismo non è invincibile e offre due riflessioni al campo della sinistra. La prima riguarda il governo ordinato delle cose, specialità del modello che ruota intorno a Bologna: è una base di consenso solida, difficile da disgregare anche per un avversario travolgente come il Capitano. La seconda è forse più importante e riguarda l’esperienza delle Sardine, che hanno offerto agli elettori motivi “ideali” – la parola è antica ma non ce n’è una migliore – per uscire di casa e andare ai seggi, nel nome di una radicale opposizione alla narrazione sovranista, ai suoi eccessi, alle sue urla e sgangheratezze.
C’è un monito molto specifico anche per il Centrodestra. L’estremismo paga bene ma risveglia anche anticorpi molto forti. Nessuno di noi può dirlo con certezza, ma forse una campagna con meno citofonate e meno smargiassate avrebbe lasciato in sonno una parte consistente degli elettori progressisti. Senza quegli esibizionismi cattivisti le Sardine non sarebbero esistite, la partecipazione si sarebbe fermata assai più in basso e chissà come sarebbe finita.
L’elettorato che cataloghiamo come moderato è stato il vero protagonista, anche se poco visibile, di questo risultato. In Emilia ha scelto Bonaccini e le liste collegate, spaventato dagli eccessi del fronte opposto e dalla prospettiva di un cambiamento troppo radicale e simile a un salto nel buio. In Calabria ha preferito il Centrodestra, e infatti al Sud è Forza Italia il secondo partito col 12,4 per cento (il Pd ha preso il 15,2) e le tre liste dichiaratamente centriste collegate a Jole Santelli si annettono il 22 per cento di voti circa. Il voto dell’area “di mezzo” tra i due poli è quello che decide il risultato, al Nord come al Sud, ed è lì che probabilmente si giocherà la partita politica nazionale, soprattutto adesso che il Movimento Cinque Stelle pare destinato a una rapida estinzione e il suo terzaforzismo svapora in percentuali evanescenti.
Il raddoppio della partecipazione offre un ultimo elemento di riflessione. Per molto tempo i partiti tradizionali, e specialmente il fronte progressista, hanno segretamente considerato l’astensionismo un loro alleato, che consentiva di restringere la platea elettorale a filiere ben conosciute senza le incognite di un voto di opinione incontrollabile e volatile. Gran parte della disturbante avanzata del vecchio grillismo, quello dei tempi d’oro, fu attribuito proprio all’aumento della partecipazione nonchè all’irruzione sulla scena di un voto giovanile di solito disinteressato alla politica. L’Emilia Romagna dimostra che quel paradigma era sbagliato, e comunque è superato. La sola possibilità competitiva del fronte anti-sovranista è tornare a coinvolgere nel dibattito sulla Polis chi se ne è stufato, o non ci è mai entrato, o ha deciso che è inutile spendersi “tanto non cambia niente”. In questa tornata elettorale il ruolo di “acchiappa delusi” e “acchiappa ignavi” lo hanno svolto le Sardine ed è stato cruciale. I partiti dovrebbero cominciare a studiare come esercitarlo in proprio, senza affidarlo alla casualità degli eventi o al colpo di fortuna di quattro amici che organizzano una provocazione di successo.
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