di Antonello Cherchi
Impronte digitali contro i furbetti del cartellino
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Secondo il Garante della privacy le misure approntate dal ministero della Pubblica amministrazione per contrastare il fenomeno dell’assenteismo e che consistono nel ricorso all’accoppiata di rilevazioni biometriche (come le impronte digitali) e sistemi di videosorveglianza sono «di dubbia compatibilità» con le regole della privacy europea e nazionale. È la seconda volta che l’Autorità dice “no” alla novità prevista dall’ex ministro Giulia Bongiorno: prima l’aveva fatto nei confronti della legge, ora interviene sul regolamento attuativo.
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Eccesso di sorveglianza
Il Garante sottolinea «l’utroneità» dei sistemi di videoserveglianza, da installare ai varchi di accesso degli uffici pubblici, da utilizzare insieme ai sistemi di rilevazione dei dati biometrici dei dipendenti. I primi, infatti, «non sono strumenti idonei, di per sé, ad assolvere alla specifica finalità di rilevazione e di computo dell’orario di lavoro».
Dati sensibili
Ma è anche il ricorso ai dati biometrici a non piacere all’Autorità ancora guidata da Antonello Soro (il collegio è scaduto a giugno e ora è in regime di prorogatio). Si tratta, infatti, di un sistema in grado di raccogliere dati particolarmente delicati, a cui il regolamento europeo sulla privacy accorda un particolare grado di tutela (quelli che in passato venivano definiti “dati sensibili”).
Manca proporzionalità
Il fatto che il regolamento attuativo della legge 56/2019 – il cosiddetto decreto Concretezza, a cui si devono le nuove misure contro i furbetti del cartellino – renda obbligatorie le rilevazioni biometriche per tutti i dipendenti pubblici (a esclusione di magistrati, avvocati dello Stato, personale militare e di Polizia, personale della carriera diplomatica e prefettizia) si pone in contrasto con il principio di proporzionalità nel trattamento dei dati personali, perché non tiene conto della forte invasività di quei sistemi.
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