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Tav, il compromesso del governo che potrebbe evitare la crisi

Giuseppe Conte sta mettendo tutte le sue competenze di avvocato per tentare di uscire dall’impasse sulla Tav. Tra le ipotesi al vaglio dei suoi consulenti giuridici c’è quella di un Dpcm, quello che è solitamente un atto di indirizzo. Destinatario, in questo caso, il Cda di Telt, chiamato lunedì alle 11 a decidere sui bandi da 2,3 miliardi di euro per il tunnel di base.

Il premier lavora per trovare una mediazione tra le due posizioni finora inconciliabili di Lega e M5S, con Matteo Salvini che manda a dire che i suoi ministri non voteranno mai un provvedimento per bloccare i bandi e Luigi Di Maio che assicura: «Ci sono le soluzioni tecniche per evitare di vincolare i soldi degli italiani». È in questa area grigia tra il “sì” e il “no” ai bandi che si gioca la sopravvivenza del Governo. Ma fermare le gare è difficilissimo: si rischia di violare quattro trattati con la Francia e di pagarne il prezzo.

Nel decreto del presidente del Consiglio si chiederebbe a Telt, la società italo-francese incaricata di gestire la realizzazione della Tav, di avviare le «manifestazioni di interesse» per i futuri appalti, condizionate dalla “riserva” della apertura ufficiale di un confronto con la Francia e la Commissione Ue per la ridiscussione integrale del progetto previsto dal trattato internazionale, approvato anche dall’Italia. La mossa sarebbe tuttavia rischiosa, perché potrebbe non essere sufficiente a evitare la perdita di 300 milioni di finanziamenti europei. Tanto che da Telt avrebbero chiesto comunque al Governo di assumersi la responsabilità di coprire la somma evitando ai consiglieri di essere chiamati a rispondere di danno erariale.

Ma è evidente che questa strada, al di là degli aspetti tecnici ancora da verificare, è percorribile soltanto con il pieno accordo della Lega. Il “downgrade” dei bandi a semplici «manifestazioni di interesse», che aiuterebbe il M5S a salvare la faccia, convincerà Salvini?

Resta un’altra ipotesi: far partire una lettera approvata dal Consiglio dei ministri in cui si chiede alla Ue e alla Francia di aprire il tavolo per la revisione del trattato e però non ostacolare il via libera di Telt ai bandi. Invitando il Cda a mettere nero su bianco il ricorso alla «clausola di dissolvenza» prevista dal diritto francese, proprio con riferimento a eventuali «sopravvenienti» modifiche del progetto. Che comunque, una volta conclusa positivamente la trattativa con Parigi e Bruxelles, dovrebbero poi passare al vaglio del Parlamento.

È il cosiddetto “lodo Siri”, dal nome del sottosegretario alle Infrastrutture che ha accompagnato Salvini giovedì al vertice a Palazzo Chigi. Ma questa strategia è più difficile per Di Maio, nonostante nelle ultime concitate ore stiano cercando di intestarsela: dovrebbe farla accettare alla sua base, agli attivisti del Nord e ai consiglieri di Torino, da cui dipende la sopravvivenza della giunta di Chiara Appendino. Non a caso proprio i parlamentari veneti, lombardi e piemontesi sono i più interventisti contro la Tav.

Ma questa, d’altronde, era proprio la direzione suggerita lo scorso 28 febbraio da Danilo Toninelli. «Se partissero i bandi non mi preoccuperei – aveva detto il ministro delle Infrastrutture – perché sarebbe solo una ricognizione di mercato, aperta per sei mesi, sempre revocabile». Peccato che nei giorni successivi siano stati proprio i Cinque Stelle a bocciarla.

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