Matteo Salvini visto da TikTok non è male, perché non è lui, così come Bonolis non era Bonolis a Bim Bum Bam e nessuno adulto è chi è quando si rivolge ai ragazzini. Alla piattaforma degli adolescenti il #leaderdellaLega si è iscritto da due giorni e ha già novemiladuecento e passa seguaci (cresceranno, uh se cresceranno), molti dei quali sono account senza volto, né nome, né bio; undicimila e passa mipiace; seimila e passa commenti, molti dei quali o fanno notare che «di politica qui non si parla» o si complimentano per l’ubiquità o consigliano a quelli che scrivono elogi di «tornare su Facebook, vecchi!».
«Salvini punta agli elettori del futuro», ha scritto l’Huffington Post, perché TikTok è il social dei ragazzini, quelli della generazione Z che boomer e millennial e Furio Colombo vorrebbero spedire a votare dai sedici anni in poi, e che per ora su TikTok hanno televotato Nuela, il menestrello delle carote, a X-Factor. Qualche mese fa, quando Instagram ha cominciato a perdere colpi, TikTok ha preso a farne, e Avvenire ha scritto che bisogna vigliare e preoccuparsi perché «si tratta del social network che più di tutti esorta alla competizione» (l’hanno pur sempre ideato in Cina). Funziona così: l’utente posta brevissimi video molto accelerati in cui fa una performance divertente a ritmo di Trap, a volte di rap (ballo e canto sono quelle in cui si provano tutti, ma va molto anche il videomessaggio sarcastico contro l’ex o la sua nuova fidanzata, insomma la vendetta), la indirizza a un hashtag o a una sfida (dite challenge e sembrerete meno boomer), e poi se ne sta a guardare le creazioni altrui. Perché su TikTok questo si fa: si crea, si gioca, si passa il tempo. Non si dice la propria, non si dibatte, non si litiga, non si trolla, non ci si vende. Per questo, sebbene lo scopo non sia mai l’ozio puro ma sempre la conquista di follower, il New York Times ha scritto che TikTok sta «riscrivendo il mondo» e potrebbe cambiare per sempre il modo in cui i social network funzionano, separandoli dall’attualità e depurandoli dall’estremizzazione delle idee. Ora però è arrivato Salvini, che TikTok l’ha preso per un Instagram per imberbi, una Pontida frazionata, una Melevisione per piccoli leghisti, un autovideoritratto votivo dell’artista in divenire, e infatti finora ci ha messo su quattro clippini che sono propaganda politica fatta alla maniera della tv dei ragazzi. L’Huffington Post ha scritto che «è il primo italiano a iscriversi alla piattaforma cinese» e non è vero (ci sono già Fiorello, Michelle Hunziker, Rovazzi, Anna Tatangelo, Bobo Vieri e un sacco d’altri, tuttavia già soltanto questi bastano a fare un presentabile partito di giovanili). Il primato di Salvini è un altro e conta di più: è il primo a portare la politica su TikTok, e a farlo a modo suo, in bilico tra il bilioso e il caritatevole, il paterno e il patriota, Radio Padania e Lineaverde, Tg2 e Bim Bum Bam, puntando sempre al personaggio e mai al messaggio.
Perché dovrebbe adattarsi del tutto agli scopi di TikTok, se TikTok lo usano quelli devono ancora capire quali scopi hanno? È una colonia ancora vergine, ci si può insediare sopra adattandosi alle poche regole che ha o imponendo le proprie.
Il tiktok d’esordio è questo: Salvini che stringe la mano a un gruppo di militari in divisa, davanti ai quali sfila in camicia bianca fuori dalle braghe, mentre in sovrimpressione appaiono prima la scritta “Onore” e, tre secondi dopo, “alle nostre forze dell’ordine”. Gli hashtag sono i soliti: #salvini e #primagliitaliani. Il tiktok successivo è un molto assertivo Salvini che, incorniciato dal tricolore, collegato a una trasmissione televisiva, dice: «In Italia si arriva coi documenti e se si ha il permesso di arrivare, altrimenti si torna da dove si è partiti». Il terzo è un estratto dell’epico video girato durante la campagna elettorale per le elezioni in Umbria, quello nel quale l’ex ministro sbuca da un ulivo secolare, il più antico della regione, e abbraccia una parte del tronco. Didascalia: cuore più albero. Il quarto è il più bello, c’è lui che canta Albachiara di Vasco Rossi con addosso al posto di una camicia una tovaglia de La Parolaccia, quel ristorante di classe che c’è in un film con Lino Banfi (scherziamo: è una camicia, non vorremmo che s’adontassero quelli del ristorante). Noi vecchi che stiamo su Facebook anche quando stiamo su Twitter quel video lo abbiamo già visto, commentato con grande indignazione senza che servisse a niente, ma magari (di certo) i sedicenni no, e magari (di certo) lo ameranno come noi non possiamo, perché noi non separiamo l’artista dal politico (e forse dovremmo, almeno in questo caso, suvvia).
Mica male questo portfolio di Salvini che non è Salvini, ripulito dal vero sé o ispirato del migliore sé, un Peter Pan che solamente una diavoleria cinese avrebbe potuto tirare fuori. Il sedicenne Z lo guarda e pensa, forse, ok millennial, magari ti voto, questo fatto che esci ed entri dagli alberi non è male, ti do una chance, ami te stesso quanto io amo me stesso, poi facciamo una challenge. O forse no, speriamo di no.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/15/matteo-salvini-tik-tok/44376/