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Togliete il popcorn al Pd: ora i renziani non vogliono andare al voto (e fanno di tutto per salvare il Governo)

Il tempo dei pop corn, per i renziani, non è ancora finito, tutt’altro. E i parlamentari legati all’ex premier stanno facendo di tutto per evitare che la legislatura si chiuda anzitempo. Un’eventuale showdown dei gialloverdi, infatti, avrebbe conseguenze devastanti per la pattuglia che oggi rappresenta la maggioranza del Pd in particolare a Palazzo Madama, ma che, dopo le primarie che hanno incoronato Nicola Zingaretti segretario, è diventata minoranza nel partito.
Il timore, tutt’altro che immotivato, è infatti che, in caso di elezioni anticipate, il leader dem componga le liste a sua immagine e somiglianza, come d’altronde era accaduto lo scorso anno con Renzi. «Se Nicola fa le liste così come ha fatto la segreteria e così come i suoi stanno gestendo la comunicazione, per noi non c’è niente da fare, i posti saranno pochissimi», è il ragionamento che viene fatto in ambienti renziani. Più o meno lo stesso che viene fatto dai parlamentari di Forza Italia (che alle elezioni verrebbero spazzati via) e dei peones Cinque Stelle, per i quali l’opportunità di tornare a sedere in Parlamento (con relativo, lauto, stipendio) molto difficilmente si ripresenterebbe.

È per questo che, nelle ultime settimane, è stato registrato un attivismo particolare da parte dei renziani. O meglio, una sorta di “disattivismo” strategico, per cui, quando c’è da far valere i numeri del Pd in Parlamento, di colpo, spunta qualche assenza che diventa una manna per il governo. Il caso più eclatante riguarda il decreto crescita. Prima la (rumorosa) assenza di massa quando si trattava di votare il testo alla Camera, poi la più silenziosa e selezionata defezione di alcuni senatori renziani in occasione del passaggio del decreto in Senato, dove il provvedimento è passato con solo 158 voti favorevoli, tre in meno della maggioranza assoluta dell’assise. Difficilmente la presenza di tutti i renziani avrebbe potuto ribaltare la questione, ma il segnale sarebbe potuto arrivare molto più forte.

Come detto, non si tratta del primo episodio e probabilmente non sarà l’ultimo. Non è una novità che le minoranze dem siano tutt’altro che convinte della strada intrapresa dal segretario Zingaretti, che, a ogni pié sospinto, chiede di andare al voto. La motivazione ufficiale è che il partito non sarebbe pronto ad affrontare una nuova campagna elettorale, che manca il progetto e che si rischia di consegnare il Paese a Salvini e ai suoi alleati più estremisti. Ma la vera motivazione sta nel fatto che per molti renziani il futuro politico sarebbe lontano dai palazzi del potere. Motivo per il quale, sono loro stessi a vedere nell’insistenza di Zingaretti la volontà di prendere il controllo dei gruppi parlamentari, piazzando i suoi. “Ha messo in segreteria tutti quelli che devono andare in Parlamento”, è un altro refrain che si legge nelle chat renziane.

Ma la questione è più complessa. Il feeling tra il segretario e i gruppi parlamentari è ai minimi storici. L’apertura di credito fatta dopo le primarie e in occasione della campagna elettorale per le europee è stata definitivamente chiusa, dopo il caso dei deputati assenti in massa alla votazione alla Camera del decreto crescita. Anche la vicenda Sea Watch ha scavato un ulteriore fossato, con le iniziative personali di deputati e senatori dem che si sono precipitati a Lampedusa e il Nazareno che si è limitato a poche dichiarazioni di circostanza. «La grande paura di Zingaretti – dice un parlamentare dem finito in minoranza dopo le primarie – è che in queste condizioni la sua segreteria sia destinata alla veloce erosione, picconata sia da chi vorrebbe riprendere in mano il controllo del Pd, sia da chi vorrebbe andare oltre, vedi Sala e Calenda».

Uno scenario tutt’altro che rassicurante per il segretario, che, in caso di crisi di governo, ha già fatto sapere al presidente Mattarella che non darà alcuna disponibilità a formare esecutivi tecnici o di scopo. A tal proposito, cominciano ad essere in molti a pensare che possa essere questo il vero casus belli capace di portare alla spaccatura definitiva dei dem, con una parte del mondo renziano pronto a fare da stampella ad un eventuale soluzione alternativa al voto. Certo, i numeri sono strettissimi e le possibilità molto remote. Ma per salvare il salvabile, tentar non nuoce.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/07/03/pd-governo-m5s-renzi-governo-gialloverde/42738/

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