Il travaglismo all’epoca del coronavirus ha ancora meno fondamento che in tempi normali, sprizza polemiche fuori posto come una marcia funebre a un matrimonio, appare come un cattivo miscuglio di spirito sbruffone e consueta furia dialettica di fronte a un’emergenza che invece richiederebbe misura e compostezza. L’ansia di fare il bastian contrario genera l’affanno di voler essere comunque “contro”. Ma contro che? Come al solito, Marco Travaglio ‘ndo coje coje (tranne l’incriticabile Conte, il che è comunque un bel passo avanti rispetto a quando andava in estasi per Di Battista), e poiché deve scontare una carenza dei tradizionali bersagli, Matteo Renzi in testa, che obiettivamente in questa fase non dà molti spunti, se la prende con altri malcapitati. La crisi di astinenza viene seppur molto parzialmente compensata da frequenti attacchi a Beppe Sala e Giorgio Gori, due sindaci riformisti e dunque nemici del popolo, e poco frega al Nostro che Gori e Sala si stiano comportando da eroi civili.
Ma Travaglio è fatto così, dà battaglia anche quando la battaglia non c’è se questo serve a gonfiargli il petto come un dandy di provincia ed è probabilmente per questo suo inguaribile narcisismo che deve distinguersi sempre, al punto di continuare a minimizzare la portata dell’emergenza-Covid19 mentre tutto il mondo è in ginocchio. Il tono non appare mai improntato – che so – al senso di umanità che dovrebbe ispirare qualunque articolo, tutto è buono per fare polemiche spesso inutili.
D’altra parte, fin dal 5 marzo Travaglio aveva vergato parole chiare parlando di «assurdo allarme» e spiegando che «non tutti gli intubati muoiono» (che vuoi che sia) e che la percentuale di morti è comunque inferiore a quelli causati dall’influenza eccetera eccetera. Pur rendendosi conto che il problema grosso sarebbe stato quello del sovraffollamento degli ospedali, il direttore si era ormai ficcato in testa il paradigma diffuso urbi te orbi dalla celebre dottoressa Gismondo: ‘sta roba è poco più di una influenza.
Il minimalismo gismondiano, avverso al realismo di Burioni, noto amico di Renzi e dunque ai primi posti della lista nera, deve aver incantato il direttore che prontamente gli ha offerto una rubrichetta sul Fatto, per la verità abbastanza neutra per non dire banale. Ma siccome deve trovare qualche pezza d’appoggio per la sua personale campagna minimizzatrice, Travaglio scova qualunque fesseria per “dimostrare” che il virus ha le ore contate. E così ecco il titolone di domenica scorsa: «Trovata la cura che batte il virus-Olanda, terapia somministrabile già tra un mese» (nel sommario: «Gismondo: è la prima buona notizia»).
Ovviamente non è vero niente, visto che come ci ricordano tutti gli scienziati si sta disperatamente cercando un rimedio ma chissà quando verrà fuori. E anche oggi il direttore insiste nel dire che il Covid19 fa meno morti dell’influenza e che «quasi tutti sarebbero morti di influenza non si fossero beccati prima il coronavirus», ragionamento in un certo senso ineccepibile se è vero come è vero che tutti dobbiamo morire, e che tuttavia pare quanto di più astruso, per non dire di peggio, sia uscito dall’aulica penna del Grande Minimizzatore.
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